Le foto della moglie in bikini spedite per dispetto ai parenti in Iran: il processo a Varese

La donna trasferitasi in Italia insieme al marito: “Costretta a pratiche sessuali sgradite”. La vicina di casa: “Era prigioniera”

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Lui la voleva, ma a modo suo: doveva curarlo per un grave problema di salute una volta rientrati in Italia. Ma la coppia di cittadini di origine iraniana, da marito e moglie si erano trasformati in qualcosa di diverso, tanto da far scappare la donna che ha poi sporse denuncia nei riguardi del coniuge – ora “ex“ – per quelle pesanti condotte che vengono contestate dal periodo successivo al 2020.

Il processo è arrivato in tribunale a Varese e giovedì è stata ascoltata parte della deposizione della parte offesa, cioè della donna, nata nel 1978 nella a Teheran, escussione che dopo alcuni minuti è stata sospesa e nuovamente aggiornata alla prossima udienza, quando verrà chiamato un interprete dalla lingua farsi visto che la signora fatica ad esprimersi in italiano e non padroneggia l’inglese. Ma dal racconto ascoltato in aula il dramma raccontato dalla signora (che non si è costituita parte civile) è apparso piuttosto evidente: continue vessazioni verbali da parte del marito che in casa «non faceva niente, si metteva sul divano e voleva essere servito. In tutto».

Una convivenza divenuta pesante, appunto anche alla luce delle pretese sessuali dell’uomo (di dieci anno più vecchio della consorte, classe 1968), osteggiate, e ritenute sgradite dalla donna. Che viveva in una condizione di sudditanza, tanto da subire una serie di ricatti, punizioni, anche di natura psicologica: «Le nostre famiglie, in particolare quella di mio marito, sono molto religiose», ha spiegato la signora.

Un fatto che parrebbe innocuo se non fosse per la pesante cappa di precetti religiosi che si respira nel regime degli ayatollah.

Dunque il compagno della signora, per esempio, dopo una vacanza breve al mare, di un paio di giorni, aveva scattato delle foto alla donna in bikini, sulla spiaggia, poi inviate nel paese di origine. «Mio genero è rimasto scioccato», ha spiegato la donna, «foto girate anche a mia mamma, che una volta ricevute è stata male e ha dovuto venir ricoverata in ospedale per due settimane». Situazione resa ancora peggiore dall’assenza di strumenti di comunicazione in possesso della donna: «Non avevo internet, non potevo comunicare».

Una versione suffragata anche dalla vicina di casa ascoltata in aula dal Collegio (Crema, Basile, Luccarelli): «La signora era “casa – spesa – casa”, non aveva vita sociale. Prigioniera. il marito la costringeva a rapporti sessuali contro voglia e lei non sapeva come fare per liberarsi da quella condizione». L’escussione della donna proseguirà il 13 novembre, con l’interprete.
(immagine di repertorio)

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Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 05 Giugno 2025
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