Monsignor Delpini accolto dalla comunità del Molina: “Siamo una RFA: una residenza famigliare allargata”

Infermieri, volontari, ospiti e familiari hanno accolto l'arcivescovo per celebrare i 150 anni della struttura tra testimonianze, sorrisi e parole di grande umanità

visita delpini

Una mattinata intensa, carica di emozioni e racconti di vita vera, quella vissuta oggi – giovedì 16 ottobre – nel teatro della Fondazione Molina di Varese. La visita di Monsignor Mario Delpini, arcivescovo della diocesi ambrosiana, è stato il momento culminante di una giornata di festa, all’interno delle celebrazioni dei 150 anni della storica struttura varesina, punto di riferimento per l’assistenza agli anziani.

“Non sono venuto a cercare un posto, ma a portare una benedizione”

«Non sono venuto qui a cercare un posto – ha esordito con ironia e affetto – ma per portare la mia benedizione». Il teatro, gremito di ospiti, parenti, operatori sanitari e amministrativi, ha accolto con un lungo applauso le sue parole, chiudendo simbolicamente un incontro che ha dato voce a chi ogni giorno vive la realtà della RSA: chi ci lavora, chi ci abita, chi ci entra per amore o per vocazione.

Storie di vita, cura e comunità

Diverse le testimonianze  presentato all’ospite come l’infermiere che ha preso la parola raccontando la differenza tra il lavoro in un reparto d’urgenza e quello all’interno di una RSA. «Qui non siamo di passaggio. Siamo immersi nella quotidianità delle persone. Cerchiamo di costruire ogni giorno una normalità possibile».

Commovente il racconto di una volontaria storica: «Da 14 anni vengo ogni settimana, da quando mio padre si è ammalato. Ho ricevuto tantissimo. I sorrisi e i racconti degli ospiti mi arricchiscono ogni volta».

Luisa, arrivata nella struttura nel 2004 per accudire il figlio in stato vegetativo, ha ricordato il ruolo prezioso dell’animazione, che l’ha convinta a diventare volontaria. Durante la pandemia e dopo aver subito un ictus, ha scelto di restare alla Molina: «Qui ho trovato una famiglia. Ho capito che la fragilità e il dolore, se condivisi, possono diventare un dono da offrire ogni giorno».

Un parente ha raccontato il lungo percorso affrontato accanto alla moglie: dopo sei anni di cura in casa, l’accesso al centro diurno, poi l’inserimento nel reparto Alzheimer. «Qui ho trovato una famiglia allargata, accogliente. Non è solo un luogo di assistenza, è un luogo di relazioni. Per me è una RFA una residenza famigliare allargata».

visita delpini

Giovanna, al suo ultimo giorno di lavoro dopo una vita nell’amministrazione, ha parlato della sua crescita personale all’interno della struttura: «All’inizio provavo tristezza. Poi ho imparato il valore dell’ascolto, dell’attenzione, dell’umanità. Questo è un luogo dove si soffre, sì, ma anche dove si impara a prendersi cura».

Anche Amed, infermiere da quasi dieci anni, ha voluto sottolineare la ricchezza dell’esperienza: «Qui il lavoro è impegnativo, ma è pieno di gioia. Con la divisa siamo tutti uguali, qualunque sia la nostra cultura di origine».

Don Ernesto, ex cappellano della struttura, ha ricordato il contributo silenzioso e prezioso delle suore indiane presenti alla RSA: «Sono venute qui per servire con dedizione e spirito di accoglienza».

Delpini: «La cura è relazione, la fragilità è cultura»

Monsignor Delpini ha ascoltato e raccolto tutte le voci nel suo intervento conclusivo. Ha parlato di benedizione, di relazione e di visione. «Tutti voi siete benedetti. Dio è alleato del bene. Prendersi cura di qualcuno è entrare in relazione con lui, accompagnarlo nella guarigione, nella sofferenza, nella vita o nella morte. Ho ascoltato parole che parlano di reciprocità: qui spesso si riceve più di quanto si dà».

Guardando al futuro, Delpini ha voluto rilanciare il senso profondo di questa esperienza: «Se chiedi alle persone che incontri cosa si aspettano per il futuro, molti scuotono il capo, scoraggiati. Ma qui si costruisce speranza. Qui si coltiva una visione della vita che trova riferimento in Dio».

Infine, ha rivolto un appello alla città: «C’è un problema di risorse, è vero. Ma questa RSA non è solo un luogo di cura: è un luogo di cultura. Cari varesini, imparate a vivere partendo dalla fragilità, non dall’ambizione. È da lì che si costruisce la comunità».

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

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Pubblicato il 16 Ottobre 2025
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