Roberta Bruzzone riempie il teatro di Varese con un racconto tra amore, psiche e criminologia
Sala piena e applausi a scena aperta per Roberta Bruzzone sabato al Teatro Intred, dove la criminologa e psicologa forense ha proposto il suo ultimo monologo «Amami da morire – Anatomia di una relazione tossica»
Sala piena e applausi a scena aperta per Roberta Bruzzone sabato al Teatro Intred di Varese, dove la famosa criminologa e psicologa forense ha proposto il suo ultimo monologo «Amami da morire – Anatomia di una relazione tossica».
Lo spettacolo, ispirato a dinamiche reali e costruito come un’indagine sull’amore malato, racconta la progressiva distruzione emotiva di una persona – tendenzialmente una donna, ma potrebbe essere anche un uomo – intrappolata in una relazione con un ego narcisista, e dunque dominata dal controllo, dalla manipolazione e dalla dipendenza affettiva.
«Questa è la storia di un amore che è morto. Ma non è morto per caso. È stato ucciso. E noi siamo qui per capire come – si legge nella presentazione dello spettacolo –. Quando l’amore diventa una trappola mortale? Cosa trasforma una relazione in una prigione di angoscia? Cosa resta di un amore quando spegne l’identità, cancella i confini, sgretola l’autostima in un cortocircuito fatto di paura, umiliazione e dipendenza?».
Rispondendo a queste domande, Bruzzone accompagna il pubblico in un percorso che mescola il rigore dell’analisi criminologica, le parole della scienza psicologica ma anche l’intensità di una vera e propria narrazione, in cui la protagonista lancia messaggi forti a chi è già vittima di questo tipo di relazione, ma anche a chi potrebbe diventarlo e a chi ne è testimone. I moniti della criminologa sono validi per ogni donna o uomo in difficoltà: imparare a riconoscere la verità nel rapporto di coppia, cogliere i primi segnali di qualcosa che non va, non isolarsi ma affidarsi alla rete dell’amicizia e degli affetti, investire su di sé, riconoscere il proprio valore e, quando serve, avere il coraggio di andare via.
L’amore malato, spiega Bruzzone, è come un’intossicazione biochimica progressiva, forgiata da un narcisista e basata sull’inganno: la via d’uscita è l’astinenza, la capacità di staccarsi e ritrovare la propria identità e la propria forza. Bruzzone racconta tutte queste fasi, che dall’incanto iniziale di un presunto amore lo fanno precipitare nel buio dell’annientamento psicologico, basandosi su teorie e termini “tecnici”, dal love bombing al gaslighting, fino alla spiegazione di come funzionano dopamina e ossitocina in un cervello innamorato. E lo fa con una verve narrativa molto coinvolgente, che arriva dritta allo spettatore: sul palco porta la stessa forza comunicativa con cui il pubblico televisivo l’ha conosciuta in programmi come «Donne mortali», «La scena del crimine» e, più di recente, nel format Rai Play «Nella mente di Narciso».
In «Amami da morire», rispetto ad altri spettacoli del passato, non ci sono espliciti riferimenti a fatti di cronaca, che restano comunque la base su cui è elaborata la teoria del testo. L’unico strappo sull’attualità è una battuta sui medici legali: «Qui faremo un’autopsia precisa, stasera, non ci sono medici legali che dopo dieci anni rimettono in dubbio le analisi fatte, l’orario della morte, il peso…».
Il pubblico applaude a lungo e attende la criminologa nel foyer per foto e firme al suo ultimo libro («Patriarcato criminale», presentato prima dello spettacolo alla Ubik). E alla si porta a casa una lezione che vale per tutti, che siano innamorati o in coppia oppure no: scegli te stesso sempre, con l’aiuto dell’amicizia, della musica, della terapia, anche con la rabbia se serve; ascolta la tua voce e non restare dove soffri. Nulla che in fondo non sia già noto, ma ascoltarlo a teatro, spiegato bene, lo trasforma in uno stimolo di riflessione, per se stessi o per quell’amico o quell’amica che forse hanno bisogno di una parola o un gesto di aiuto.
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