19 e 34
di Laura De Filippo

Il tempo e la vita sono due compagni inseparabili, o sinonimi, o la stessa cosa. Ti accompagnano nel quotidiano, ti tengono per mano, senza disturbare, non te ne rendi neanche conto. Sei impegnato a vivere la vita, con il tuo tempo, eppure nulla è tuo.
Sono trascorsi quarantuno anni, sembra ieri: 23 novembre 1980, ore 19.34, novanta secondi. Successe di tutto in quei pochi attimi, proprio tutto, ma non l’irreparabile per me. Lo ricordo come fosse ora.
I cani abbaiano, ululano, un boato, un tuono prolungato, i vetri tremano, il tavolo si muove da solo, il pavimento ondula, papà prende in braccio mio fratello e urla di correre fuori, non riesce ad aprire la porta, impossibile afferrare la maniglia, si sposta da una parte all’altra. Finalmente le scale, ma ballano, sono scivolose. Sulla strada i lampioni fanno l’inchino, una, due, tre volte, ma a chi tanta reverenza.
Sotto i piedi il solletico delle vibrazioni dell’asfalto, della corsa fuori di casa, del salto dei gradini per le scale. C’è tanta gente che corre, urla, piange, si abbraccia. Mia mamma mi tiene per mano, anche lei piange. Tutti col naso in su, guardano le case. Compaiono dei segni, è come se qualcuno stesse disegnando delle righe sui muri. Non si può, mamma dice sempre che si scrive sui fogli non sulle cose.
E la riga scorre, e scorre. E si ferma.
Entriamo in macchina, saremo coperti, forse al sicuro in caso di crolli.
C’è anche lei, la vedo attraverso il finestrino, Sua Maestà la Luna. È bianca, contornata da un leggero velo che la impreziosisce, la addolcisce. Mi guarda. Mi rasserena, mi perdo nel suo splendore, mi culla. Ho sonno, fa freddo, mio fratellino dorme accanto a me, è sdraiato sul sedile, mi avvicino e mi metto sotto la copertina con lui. Sua Maestà veglia su di noi.
Novanta secondi, un’eternità.
Racconto di Laura De Filippo, ricordando il terremoto dell’Irpinia
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