Alberto Fortis: “Confesso che ho cantato”
"Al che fine ha fatto Yude" (Aliberti Editore) è un'autobiografia che scandaglia ogni lato della vita di un cantautore che ha segnato la storia della musica italiana
Dentro questa autobiografia c’è un’intera carriera. Concerti, registrazioni, trasmissioni televisive, incontri, errori, occasioni colte e perdute. Insomma, c’è la vita di Alberto Fortis. C’è soprattutto la parte intima dell’artista, quella più interessante del libro, dove i dubbi e le certezze sul «dove andare e come andarci» devono fare i conti quotidiani con lo star system che non ammette deviazioni rispetto alla strada tracciata a tavolino.
“Al che fine ha fatto Yude” (Aliberti editore) racconta il sogno di un ragazzino talentuoso di Domodossola che suona la batteria, ascolta i Beatles nella soffitta di casa e frequenta l’esclusivo collegio Rosmini. Racconta di una famiglia meravigliosa che lo culla e lo asseconda, di un padre medico vecchio stampo, capace di comprendere quel figlio così lontano dalla sua giovinezza (lo ha avuto a 52 anni) eppure così vicino nella sua tensione artistica, tanto da non impedirgli di abbandonare la facoltà di medicina.
Alberto Fortis rimane orfano di madre a 18 anni, ma accanto a sé ha una “tribù” di affetti, con la zia maga in testa, che lo aiuta a trovare la sua via, quella lastricata di note, e lo zio Ugo De Gasperis, fratello della madre, a cui è ispirata la canzone “La sedia di lillà”. Ci sono, poi, le adorate sorelle maggiori, Giuliana e Patrizia, e i loro figli che condividono molto con lo zio famoso cantante. «Per una persona di forte indole artistica – scrive Fortis – perdere la madre in giovane età rimane un segno indelebile nella scrittura e nella poetica a venire, pensiamo a Mother di John Lennon».
In questo libro ci sono tanti nomi, amici e personaggi famosi, persone con cui Fortis ha condiviso tratti della sua strada: Mara Maionchi (sì, quella di XFactor), la Pfm, Fabrizio De André, Claudio e Nicolò Fabi, Rossana Casale, il pittore Pino Ceriotti e il Dalai Lama. E ancora, George Martin, produttore dei Beatles, Carlos Alomar, leader della band di David Bowie, Quincy Jones, produttore di Michael Jackson.
La vita dell’artista oscilla perennemente tra demonio e santità: da una parte l’agognato successo, la difficoltà di imporsi e di rimanere sulla cresta dell’onda, assecondando le pressioni di un sistema che bada più agli affari che all’arte; dall’altra l’amore puro per la musica, la continua ricerca di un progetto, soprattutto oltreoceano, che possa segnare una svolta definitiva, anche sul piano spirituale.
Alberto Fortis si interroga anche sulla paternità. Potrebbe seguire l’esempio di “Penna bianca”, ovvero suo padre. «Mai dire mai». Meglio se con Alanis Morissette.
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