“Aiuto”, Lavinia Limido cade e viene accoltellata in strada: in aula a Varese il video dell’orrore

Le immagini dei fatti avvenuti il 6 maggio 2024 in via Ciro Menotti a Varese. Le coltellate di Manfrinati al volto della moglie. E quella frase alla suocera: “Visto cosa ho fatto a tuo marito e a tua figlia?”

Grave aggressione in via Ciro Menotti a Varese

In un minuto di tempo, fra le 12.41 e le 12.42 del 6 maggio 2024 Lavinia Limido è stata massacrata a coltellate dal marito Marco Manfrinati che la aspettava in auto (qui gli articoli sulla vicenda).

Il video del tentato omicidio trasmesso in aula

La ragazza esce dal lavoro a piedi, indossa un soprabito chiaro e leggero, la portiera di un’auto si apre e non appena la ragazza vede l’uomo uscire dal veicolo si mette a gridare, fa dietrofront alla svelta e scappa, ma inciampa. Cade, è a terra. L’uomo, Marco Manfrinati, con in mano un coltello, le è addosso in un secondo, comincia ad accoltellarla nella parte superiore del corpo soprattutto al volto, una, due, tre coltellate, poi ancora e ancora anche quando la ragazza si rialza per riuscire a scappare con la forza della disperazione mente tre uomini, due dei quali armati di bastone cercano di fermare l’aggressore.

A quel punto Manfrinati sale in auto e cerca di investire Fabio Limido, padre di Lavinia, armato di una mazza da golf che colpisce l’auto nel frattempo intenta prima ad uscire dal parcheggio e poi condotta come ariete anche in retromarcia per colpire l’uomo. Le immagini finiscono alle 12.44. Fabio Limido verrà finito in seguito con il coltello.

È il video dell’orrore andato in onda questa mattina, venerdì, in Corte d’Assise a Varese dove si sta celebrando il processo per omicidio aggravato e tentato omicidio premeditato. Immagini da far gelare il sangue.

Parlano i testimoni

L’imputato non era in aula, e nemmeno le parti offese. Una testimone, la prima, residente in via Ciro Menotti a Varese, zona Questura, ha raccontato gli attimi successivi al fatto quanto la moglie della vittima, e madre della ragazza ferita è arrivata sul posto.

«Era sotto shock», ha raccontato la testimone, «e mentre portavano via Manfrinati ho sentito che lui le diceva: “Ciao brutta p… hai visto cosa ho fatto a tuo marito e a tua figlia? Questo è quello che succede quando si toglie un figlio al padre”».

(Seguono aggiornamenti)

Il legale della famiglia Limido Criscuolo

L’assistente sociale di Busto Arsizio, sentita come seconda teste, ha spiegato il contenuto di alcune telefonate ricevute la mattina dell’omicidio, con frasi di Manfrinati che lasciavano presagire il peggio, parole come «adesso mi muoverò io».

Nel controinterrogatorio del teste, da parte del difensore Elio Giannangeli, è emerso che Manfrinati, in merito alle sue richieste di cui aveva parlato con l’assistente sociale, «non voleva l’affido esclusivo del figlio».

In aula è stato ascoltato anche un conoscente di Manfrinati, referente a Legnano per le cerimonie liturgiche in latino, un rito a cui i coniugi assistevano di tanto in tanto insieme: «Sembravano una coppia esemplare, sereni e distesi entrambi». Manfrinati aveva prestato servizio a messa a Legnano e, in un episodio, si era sentito male e aveva spiegato la sua situazione familiare, legata cioè al fatto che la moglie aveva abbandonato la casa coniugale col bambino. Un «travaglio interiore spirituale», che l’uomo stava attraversando, come raccontato dall’amico fedele («sono un laico, non un religioso») insieme al quale Manfrinati serviva a messa come chierichetto.

C’erano stati dei messaggi fra i due, gli ultimi dei quali scambiati il 30 aprile 2024, alcuni dei quali cancellati da Manfrinati. Messaggi di questo tenore, che Manfrinati mandava al suo amico col quale condivideva la spiritualità religiosa: «Dove non arriva la giustizia deve prevalere la legge naturale, l’autodeterminazione dei singoli che farò io sul marciapiede. Ho qualche mese di vita ancora, poi sistemerò tutto a modo mio». Questo sei giorni prima dell’omicidio.

Nel corso dell’esame è stata sentita anche una psicologa, consulente tecnica d’ufficio del tribunale di Busto Arsizio, dove era in corso la procedura legata all’ufficio del minore, per la quale era appena stato depositato l’elaborato finale della bozza di relazione sull’affido, il 2 maggio 2024. Poi il 6 maggio, la mattina del delitto, la chiamata: «Ero in auto e mi è squillato il telefono. Era Manfrinati ed esordì dicendomi che dalla lettura della relazione gli era parso che non avrebbe più rivisto il figlio. Mi stava mettendo in difficoltà poiché non è previsto un contatto fra le parti. Lo stavo congedando, quando alla fine della chiamata mi ha detto: “Sono un uomo disperato”».

Uno dei testi ascoltati è stato poi un amico di famiglia che era stato interpellato dai Criscuolo per accompagnare Lavinia, a titolo di protezione degli spostamenti della ragazza: «Si spostava in auto con me, si metteva la parrucca e usavamo la mia auto per muoverci. Lavinia aveva davvero paura».

Secondo lo psicologo che lo aveva in cura, infine, è emerso che Marco Manfrinati aveva maturato una sindrome «depressiva reattiva» seguita alla fuga della moglie dalla casa familiare: «viveva in uno stato di frenesia, ma nonostante questo non provava rabbia nei riguardi della moglie, considerando invece la suocera come artefice dei suoi mali». Lo psicologo ha parlato di «attacchi di panico» di cui Manfrinati soffriva, con anche accessi al pronto soccorso.

Alla fine dell’udienza, la Corte d’Assise ha ammesso le consulenze delle parti, ma deciderà a settembre se procedere o meno con la perizia psichiatrica richiesta dalla difesa.

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Pubblicato il 11 Luglio 2025
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