Anche in carcere si festeggia la fine di Ramadan

Domenica le comunità musulmane hanno festeggiato la fine del mese di digiuno. Questa mattina la piccola festa in carcere: il saluto del Cardinal Scola, il the alla menta, i dolcetti al miele e un pensiero alla terra d'origine

L’odore della menta e l’odore del miele – a chiudere gli occhi – portano sulle montagne del Marocco o nel deserto tunisino e fanno dimenticare il corridoio semibuio. Fanno dimenticare per un secondo il fatto che siamo in carcere. Alla casa circondariale di Busto Arsizio si festeggia l’Eid Al Fitr, la fine del Ramadan, il mese sacro di digiuno e preghiera per i musulmani: «Lo abbiamo fatto quasi tutti», rivendica con orgoglio S., l’uomo marocchino che i suoi compagni, intimoriti, mandano avanti per parlare con i giornalisti. «Nella quarta sezione, dove sto io, l’abbiamo fatto tutti». Sono circa un centinaio i detenuti che hanno celebrato il Ramadan.

A Busto i detenuti sono 415 – una "casa circondariale" sovraffollata, come molti altri carceri in Italia – e «circa il 60-65% sono stranieri», una buona parte musulmani, come spiega il direttore Orazio Sorrentini (a destra nella foto). «È il secondo anno che si festeggia il Ramadan in carcere, dopo che abbiamo accolto la richiesta portata dagli agenti di rete e dagli operatori» spiega Rossella Panaro, che comanda gli agenti di polizia penitenziaria di Busto. «Quel che fuori a volte è difficoltoso, si riesce a fare qua dentro» conclude con una punta di orgoglio. Anche il direttore Sorrentini rivendica un clima particolarmente disteso a Busto, frutto un po’ della specificità di Busto (molto "ricambio" tra i detenuti, per effetto del 15% di detenuti arrestati a Malpensa, in particolare corrieri della droga), un po’ del dialogo e della «trasparenza nello spiegare ai detenuti i provvedimenti che a volte per loro sono limitazioni». Anche la celebrazione "pubblica" della fine di Ramadan è un buon esempio, per quanto coinvolga un numero limitato di detenuti, circa una trentina: «Abbiamo anche deciso di rispettare la loro tradizione – spiega il comandante degli agenti – acquistando dolci all’esterno, cosa che di solito non è permessa». Durante il Ramadan, invece, cambiano i tempi dei pranzi: meno cibo a pranzo (per meno persone), più piatti la sera, dopo il tramonto.

La festa insieme – un piccolo momento di apertura al mondo esterno – dura una mezzoretta. Ci sono i dolci al miele e sesamo acquistati in un negozio islamico di Busto, c’è il the preparato con la menta. Ci sono i panini al cioccolato cucinati dai detenuti che lavorano nel laboratorio di panificazione, una delle varie attività lavorative, che rientra anche nel progetto "Da qui" curato dal Consorzio Sol.co. «Con il progetto si toccano gli aspetti principali della vita di una persona, compresi la religione, l’inserimento lavorativo e abitativo» spiegano. Il momento è breve e molti detenuti sono emozionati, è uno dei rari momenti per comunicare con l’esterno. Un uomo libanese, che indossa una maglietta "Stop War" si avvicina e ci dice: «Anche noi vogliamo la pace in Siria, abbiamo pregato per i nostri fratelli».

Ad accompagnare i visitatori in questo momento ci sono anche gli agenti di rete Sergio Preite (di Enaip) e Sabrina Gaiera. E poi c’è don Silvano Brambilla (a sinistra nella foto), instancabile cappellano del carcere, che legge il messaggio saluto che il Cardinale Angelo Scola ha inviato ai musulmani di Lombardia. «È importante conoscersi e rispettare le differenze, imparare a sostenersi a vicenda nelle difficoltà». In carcere le nazionalità sono tante, come le religioni. Con don Silvano – un’oretta dopo – entrerà anche un prete cattolico rumeno, venuto a incontrare i suoi connazionali detenuti. «Ma c’è anche il pastore evangelico che viene di sabato, anche con gli ortodossi abbiamo un rapporto forte». Se il carcere è comunque un luogo duro, è anche luogo d’incontro, magari solo saltuatio, magari dettato dalla necessità di far passare le lunghe ore tutte uguali: «C’è un detenuto musulmano, ogni volta che passo mi saluta e mi dice: "che Dio la benedica", la trovo una cosa straoridnaria. E alcuni musulmani vengono anche alla catechesi, per cercare un confronto». 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 21 Agosto 2012
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