«L’Italia perse l’8 settembre 1943»
Ufficiale fascista e soldato della Repubblica di Salò, Vasco Bruttomesso, 103 anni, ricorda la nascita della Repubblica, con nostalgia e rimpianti
Quel 2 giugno 1946 lo ricorda ancora Vasco Bruttomesso. Fu, per lui, la fine di un sogno anche se era consapevole che le cose non sarebbero andate troppo bene: «La vera data della fine è l’8 settembre 1943 quando Badoglio tradì il paese. Con quel ribaltone, si pose fine ad un modello di Stato in cui non ho mai smesso di credere».
Vasco Bruttomesso, classe 1903 originario del Veneto ( «al di là della linea del Piave»), ricorda ancora alla perfezione i giorni del Fascismo, della II Guerra Mondiale, la Repubblica di Salò fino a quel 25 aprile che lo sorprese a casa, lui ufficiale repubblichino, per la nascita del suo primo genito: « Ero sulla porta di casa, in divisa, quando mi raggiunse la notizia. Mia moglie mi convinse a cambiarmi d’abito e a cercare rifugio presso una famiglia amica. Furono giorni terribili, di rappresaglie e vendette. Fui internato in un campo di concentramento dove rimasi alcuni mesi. Lì un ufficiale americano con la camicia rossa mi accusò di aver tradito la patria e gli risposi: "Nemico sì, traditore mai"».
I giorni che precedettero il voto referendario non li ha ben presenti: «Ero da poco tornato a lavorare in tessitura, alla Tosi che poi venne espropriata. C’era tanto da fare e io dovevo vivere guardandomi sempre alle spalle. Ricevevo continue minacce. Io votai per la monarchia: il re Vittorio Emanuele era dalla nostra parte, non avrebbe mai voluto fare quel voltafaccia che gli impose Badoglio. Lo ha confermato lui stesso in un documento consegnato ad una signora che lo andò a trovare in esilio in Portogallo».
Nonostante le condizioni sociali in cui viveva il paese quell’anno, Vasco Bruttomesso, che ancora mostra fiero la targa firmata di pugno da Benito Mussolini che attesta la sua partecipazione alla "marcia su Roma" il 28 ottobre 1922, non è del tutto convinto che il risultato dell’urna fu proprio quello: «All’indomani dell’annuncio della vittoria della Repubblica, girava insistentemente la voce che l’allora ministro Romita avesse sottratto 3 milioni di voti al Re. Non fu mai dimostrato, ma le voci erano molto insistenti».
Dopo aver abbandonato la politica con la fine della Repubblica di Salò, Vasco Bruttomesso si è dedicato anima e corpo al lavoro, dirigendo ditte importanti nel campo della tessitura ( «avevo sotto di me 500 operai») ed è stato prima commissario prefettizio e poi 3 volte sindaco a Carbonate: «La quarta volta i miei concittadini mi rielessero a grandissima maggioranza, ma biechi giochi politici mi tolsero quell’investitura popolare. Eppure la mia fama me l’ero conquistata sul campo».
Alla vigilia del sessantesimo compleanno della Repubblica, il soldato fascista non ha grande fiducia del futuro: «È uno schifo. Non c’è più amor di patria, non c’è più attaccamento alla propria terra. Si possono dire tante cose di Mussolini, ma sono innegabili le opere che ha fatto per l’Italia. In sei anni è riuscito a ripianare il deficit bloccando la sterlina. Senza grossi mezzi ha bonificato l’Agro pontino, ha creato una rete sociale per famiglie e lavoratori, con asili, centri ricreativi, luoghi culturali e di sport. Allora c’era partecipazione. Oggi, bisogna stare attenti anche in casa propria, barricati con porte blindate e spranghe alle finestre. Che Italia è?»
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