Una giornata di studio per vincere la cocaina

Intervista a Don Michele Barban, fondatore e responsabile del Centro Gulliver. L'iniziativa è in programma il prossimo 13 aprile

La “questione cocaina” è oggi più che mai seria e delicata. Soprattutto nel mondo dei giovanissimi, ma non solo.  Tutti gli studi specifici condotti negli ultimi anni riportano un progressivo aumento dell’uso della cocaina in Italia. Il consumo riguarda infatti non solo le fasce giovanili ed i contesti del divertimento notturno, ma anche ampie fasce di adulti ed è trasversale a differenze sociali, di età e di genere. 

Come avviene per il doping nello sport, l’assumere sostanze ha la stessa valenza all’interno delle “cose della vita”: riuscire in campo relazionale e affettivo, emergere nel gruppo dei pari, essere qualcuno…
Anche nel nostro contesto – quello del Varesotto e Alto Milanese – se ne avverte una forte presenza, molte volte taciuta o negata. 
Il Centro Gulliver ha partecipato ad uno studio nazionale, promosso dall’Osservatorio Epidemiologico Metropolitano Dipendenze Patologiche dell’AUSL di Bologna. Il prossimo 13 aprile, nella Sala Carrozze di via Albani, 91 si terrà una giornata di studio in cui i ricercatori presenteranno i risultati di un anno di lavoro e si confronteranno con le figure chiave del nostro territorio. 
Abbiamo parlato con Don Michele Barban, fondatore e responsabile del Centro Gulliver.   
 
Da cosa nasce questa giornata di studio?
«Vorremmo presentare i risultati nazionali dello studio multicentrico PCS “Percezione del danno, comportamenti a rischio, significati attribuiti all’uso di cocaina”, a cura dell’Osservatorio Epidemiologico Metropolitano Dipendenze Patologiche dell’ASL di Bologna. 
La ricerca è nata dalla collaborazione del pubblico, del privato sociale e degli enti locali con l’obiettivo di analizzare per la prima volta in Europa, in termini scientifici, sia l ’universo dei consumatori di cocaina in relazione all’ intensità dell’uso e delle abitudini di consumo, sia la percezione del rischio delle persone che non sono necessariamente consumatori. 
Come Centro Gulliver abbiamo dato un contributo allo studio nel nostro territorio e nelle nostre Comunità, mediante interviste in profondità e strutturate, secondo la metodologia generale della ricerca».
 
Che obiettivi vi siete posti con questa giornata?
«Vorremmo innanzitutto far conoscere ed affrontare una questione che sta diventando sempre più allarmante e dilagante non solo in Italia, ma anche nel nostro territorio, nel nostro Varesotto. Anche se spesso rimane una “questione sommersa"»
 
In che senso?
«È una presenza forte, ma spesso taciuta o addirittura negata. È difficile entrare in contatto con questa particolare tipologia di persone: spesso i consumatori di cocaina non appartengono alle fasce sociali più svantaggiate o alle frange dell’emarginazione, ma vanno ricercati tra i giovani, gli studenti, gli impiegati, tra le persone provenienti da categorie relativamente benestanti ed acculturate. E’ da rilevare che questa tipologia di consumatori solitamente non si rivolge ai servizi pubblici o privati sulle dipendenze o perché non li conosce, o perché non li considera in grado di rispondere ai propri bisogni, o perché non si considera “tossicodipendente"».
 
Quali sono i motivi, a suo avviso per cui una persona di questo tipo dovrebbe fare uso di sostanze? 
«I motivi che spesso emergono sono tutti di carattere relazionale: voler “essere qualcuno”, riuscire nel gruppo, migliorare le proprie prestazioni, favorire la socialità. Credo che il filo conduttore sia proprio una povertà di relazioni autentiche che fa sì che uno abbia bisogno di ricorrere ad una sostanza per riempire un vuoto.
Vorremmo che questa giornata fosse uno strumento di supporto per il nostro operare. Vorremmo analizzare in modo scientifico l’universo dei consumatori di cocaina in relazione all’intensità dell’uso, alle abitudini di consumo, per poter presidiare meglio il nostro territorio, progettando interventi sempre più validi e mirati, non solo di prevenzione, ma soprattutto di riabilitazione».
 
Quali interventi ha in mente per questo tipo di persone?
«La questione “dipendenza da sostanze” ha raggiunto una rilevanza talmente importante – basti pensare al grado di diffusione e alla frequentazione – che non basta più parlare solo di prevenzione. Occorre, accanto ad essa, agire sempre di più “chirurgicamente” su quelle situazioni di dipendenza già conclamata, che sono  sensibilmente in aumento di anno in anno. 
Per quanto riguarda la dipendenza da cocaina, in particolare, credo non serva tanto un percorso di comunità, a lungo periodo, quanto un intervento mirato – breve, ma intenso – della durata di qualche settimana o di qualche week end, senza togliere le persone dalla realtà familiare, sociale, professionale in cui sono inserite. Penso ad interventi strutturati come delle giornate di “ritiro” in luoghi che favoriscono particolarmente il contatto con la natura, con se stessi e con gli altri, per ritrovarsi, per ricostruire la propria vera identità. E accanto a questo, coinvolgere, laddove possibile, anche i familiari per fare insieme un percorso di crescita». 
 
Vuol dire che la famiglia è, in qualche modo, complice?
«Se non complice, certamente è coinvolta quando un proprio familiare sta male e “scappa”: ci si può sentire soli o con sensi di colpa.  È una vicenda che tocca e chiama in causa ciascun componente della famiglia, nelle proprie relazioni interpersonali. Vi aspettiamo alla giornata di studio per approfondire anche questo delicato tema».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 23 Marzo 2010
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