Gelosa: “Sparavano contro le case di chi si opponeva”
Il sindaco anticipa alcune delle dichiarazioni che farà al consiglio comunale di questa sera in tema di 'ndrangheta raccontando la storia dei Rossetti "lonatesi coraggiosi che si opposero alla vendita dell'area del Pirellino", nonostante le pesanti minacce
A poche ore dal consiglio comunale di questa sera a Lonate il primo cittadino Piergiulio Gelosa esce dall’angolo e anticipa parte di quello che dirà nelle dichiarazioni iniziali, tutte incentrate proprio sull’interrogazione dei Democratici Uniti e sugli ultimi sviluppi delle inchieste che hanno svelato la fitta rete di estorsioni, usura e infiltrazione nel tessuto economico e politico da parte di esponenti della locale di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo.
Lo farà raccontando nuovi particolari proprio sul cosiddetto affare del "Pirellino", il grattacielo che dovrebbe sorgere nella frazione di Sant’Antonino che era stato al centro delle attenzioni del clan tramite un imprenditore edile prestanome usurato da Nicodemo Filippelli ed Emanuele De Castro. In particolare Gelosa vuole sottolineare come la famiglia Rossetti, proprietaria dell’area di sant’Antonino, sia riuscita a non vendere alla società del prestanome di Filippelli e De Castro nonostante le ripetute minacce subite: «E non sono minacce da poco – spiega il sindaco – in quanto arrivarono al punto di sparare contro la loro casa». Il sindaco racconterà di come la Filippelli e De Castro avessero più volte intimidito la famiglia Rossetti con minacce pesanti: «Tutte queste cose sono state raccontate al pm Bocassini dal Rossetti – ribadisce Gelosa – ed è grazie a lonatesi come loro che questa gente non è riuscita a mettere le mani sull’area del Pirellino».
Se ci fossero riusciti la storia oggi sarebbe un po’ diversa, su questo non c’è dubbio ma dagli atti dell’indagine emergono diversi particolari su questo punto come, ad esempio, quando Giovanni Rossetti (probabilmente preso da un momento di disperazione, ndr) arriva al punto di proporre, in una riunione alla quale presero parte anche Filippelli e De Castro, il pagamento di tasca sua della convenzione col Comune prima che questa fosse scaduta. Dopo quell’incontro, però, l’interesse della ‘ndrangheta su quell’affare, andò scemando probabilmente perchè la società del loro prestanome non aveva la forza economica per acquistare i terreni.
«La famiglia Rossetti temporeggiò fino alla fine cercando di non cedere il terreno – racconta Gelosa – e da parte mia, quando De Castro e Filippelli vennero a parlare del loro interessamento all’area dissi che il progetto originario non doveva essere cambiato di una virgola in quanto ci avevo messo la faccia». Di fronte a queste resistenze e alle difficoltà economiche della società del loro prestanome i due si ritirarono dall’affare che, pure, li aveva ingolositi a tal punto da dire, in una conversazione telefonica con Giuseppe Piscioneri (gestore del ristorantino del crossodromo di Cardano al Campo e membro della locale di Bollate): "Pè – dice De Castro a Piscioneri – qui c’è da mangiare per tutti, ne ho già parlato con Nico (Nicodemo Filippelli, ndr). Sei tu che ci hai portato il cliente".
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