L’appello di Paolo Rossi: “Non fate morire il teatro”
Durante la rappresentazione di "Mistero buffo" l'attore propone di aprire gratuitamente le sale al pubblico per contrastare la politica culturale del governo. Strepitosa interpretazione di Lucia Vasini nel ruolo di mater dolorosa ai piedi della croce
Quando il teatro irrompe a teatro, non ce n’è per nessuno. E’ l’interpretazione di Lucia Vasini nel ruolo della Madonna, mater dolorosa ai piedi della croce, a dare al “Mistero buffo” di Paolo Rossi, fino a quel momento uno spettacolo molto divertente, un peso teatralmente diverso. Il «grammelot» della Vasini ammutolisce il pubblico (il Teatro Apollonio era quasi esaurito) per immergerlo nel dramma, rimasto sospeso tra le battute esilaranti del giullare Rossi e della spalla (anche musicale) Emanuele Dell’Aquila.
Questo “Mistero buffo” è molto lontano da quello di Dario Fo. C’è poco «grammelot», quell’impasto di dialetti e lingue popolari che hanno reso famoso il teatro dell’arte del premio Nobel, e molta attualità. In mezzo ci stanno i misteri tratti dai vangeli apocrifi che l’operazione di Rossi vuole rendere pop. In parte ci riesce, in parte no.
Non è un’invettiva antiberlusconiana, quella dell’attore triestino, piuttosto una critica a tutto il sistema incapace di schierarsi con gli ultimi, come dovrebbe fare qualsiasi buon cristiano, musulmano, ebreo, ateo, laico o miscredente. Questo sì, un vero mistero.
Sul palco c’è un manichino ammanettato. E’ la vittima inconsapevole di una retata anticlandestini sul confine con la ex Jugoslavia. Tutti gli altri sono fuggiti. Lui, povero manichino, no. E’ stato arrestato e lasciato lì muto, immobile, senza storia e senza futuro, come spesso accade alle persone vere, quelle di carne, ossa e sangue, che arrivano a bordo di gommoni o nei camion stipati come bestie.
Alla fine il manichino finirà sulla croce sotto le note dure e le parole ispirate di “Personal Jesus” nella versione maledetta di Marylin Manson. «Il tuo Gesù personale, qualcuno che ascolti le tue preghiere, qualcuno che si prenda cura di te» recita il ritornello della canzone portata al successo dai Depeche Mode. Anche Paolo Rossi, con la sua faccia squinternata da giullare, ha una preghiera, una supplica: «Non fate morire il teatro».
Sarà difficile, visti i tempi di tagli e di «cultura che non dà da mangiare», che qualcuno l’ascolti.
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