Il carcere dei Miogni chiede lavoro e dignità
La casa circondariale ha molti problemi: sovraffollamento, assistenza sanitaria e un bisogno vitale di lavoro e formazione. Raffaele Cattaneo: «Questo è un luogo di cui la città si deve reimpossessare e di cui ci dovremmo occupare un po’di più tutti quanti»

Di problemi il carcere dei Miogni e i suoi «ospiti» ne hanno molti. E non si tratta solo di sovraffollamento (sono 130 i detenuti presenti, quando la capienza regolamentare sarebbe di 53), che pure è una questione delicata e perennemente irrisolta. C’è anche il problema dell’assistenza sanitaria e un bisogno vitale di lavoro, considerato che gli «ospiti», scontando condanne non superiori ai 5 anni, pensano al dopo pena e al loro futuro. «Ho visitato la struttura – ha detto l’assessore regionale Raffaele Cattaneo – e ho visto molta dignità, non solo sfascio. L’assistenza sanitaria è uno tanti dei problemi, ma stiamo lavorando anche su altri fronti per ridare condizioni dignitose ai detenuti, a cominciare dalla formazione nella quale questa struttura si è già distinta con diversi progetti. Questo è un luogo di cui la città si deve reimpossessare e di cui ci dovremmo occupare un po’di più tutti quanti».
Insieme a Cattaneo, ai Miogni c’erano: Walter Bergamaschi, direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Varese, l’assessore provinciale Piero Galparoli, il dottor Capaccioni, responsabile dell’ambulatorio del penitenziario, don Marco Casale, cappellano del carcere, e il direttore Gianfranco Mongelli. «Nella sanità moderna – ha spiegato Bergamaschi – non si puo’ più pensare a un reparto per detenuti, perché bisogna garantire al paziente tutte le cure che servono nel luogo adatto. Bisogna quindi evidenziare più spazi nelle unità operative, dove siano garantite anche le esigenze di sicurezza necessarie. Il 6 settembre prossimo ci sarà un sopralluogo per individuare le stanze che meglio si prestano alla cura dei detenuti».
Attualmente, all’interno del carcere, c’è un servizio medico attivo fino alle 18. Da quel momento fino alle 20 c’è un infermiere che segnala al servizio del 118 eventuali emergenze e poi entra in azione la guardia medica fino alle 8 del mattino.
Lavoro e formazione sono stati gli altri fronti sui quali si è attivato il gruppo che ha visitato il penitenziario varesino. «Il tema del lavoro è cruciale in un carcere – dice don Casale – perché lasciare un detenuto senza fare nulla non favorisce un buon percorso». Ai Miogni c’è una parte dei detenuti che lavora grazie ai fondi dell’amministrazione penitenziaria a cui si aggiungono i fondi della Regione Lombardia stanziati per la formazione e il lavoro. È grazie a quei soldi, ad esempio, che si formano i cuochi che lavorano nelle cucine del penitenziario. «Sommando queste due voci – conclude il cappellano del carcere – raggiungiamo però solo un quarto della popolazione carceraria. Quindi se ci sono imprese che possono dare occasioni di lavoro in carcere, sono ben accolte».
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