“Il recupero della Casa del Fascio, un’occasione da non perdere”

In occasione di Duemilalibri è stato riaperto in parte (minim) il cosiddetto Palazzo Minoletti: l'architetto Scaltritti, presidente degli Studi Patri, ripropone la necessità di un recupero complessivo dell'edificio e della sua storia

Pubblichiamo un intervento dell’architetto Matteo Scaltritti, Presidente della Società Gallaratese per gli Studi Patri, sul futuro dell’edificio che fu Casa del Fascio (e poi sede degli uffici per le imposte dirette) e che nel dibattito comune si è iniziato a chiamare con il nome convenzionale di "Palazzo Minoletti", dal nome dell’architetto razionalista che lo ha progettato. La riapertura dell’atrio al piano terra nel corso di Duemilalibri ripropone l’idea di un recupero complessivo dell’edificio
(le immagini sono state inserite da VareseNews)

L’apertura di “Palazzo Minoletti” per ospitare i banchi di 2000libri è stata una positiva parentesi nell’imbarazzante silenzio che ha seguito il dibattito di qualche anno fa sul destino di questo edificio (nella foto: lo stato a ottobre 2012). Quando si iniziò a parlare seriemente del recupero della casa del fascio, si mobilitò un folto gruppo di studiosi ed esperti del settore (nazionali e internazionali) tra cui, ricordo, Do.co.mo.mo Italia, l’associazione per la documentazione e la conservazione del Movimento Moderno. La comunità scientifica si sentiva in dovere di sottolineare la necessità di un intervento di restauro colto avvertendo il rischio che l’edificio potesse essere trattato come un neutro contenitore da riempiere indifferentemente con l’una o l’altra funzione. Per questa ragione si chiese, da più parti, andando anche oltre anche le imposizioni vincolistiche della soprintendenza, che il processo di restauro fosse supportato da una adeguata fase di studio. Queste premesse sono per altro inevitabili nel caso di un intervento di restauro di un bene culturale che è tale proprio perché, ci piaccia o meno, testimonia una fase storica della città e della sua società (nella immagine sotto: cartolina degli anni Trenta).
Il tema è ancora aperto e l’attenzione a questo proposito non deve calare.
Restaurare la casa del fascio di Gallarate, perché è questo ciò che è, al di là del buffo appellativo di “Palazzo Minoletti” imposto da una specie di damnatio memoriae lessicale, può essere una grande occasione culturale per la città. Un’occasione che non possiamo e non dobbiamo lasciarci scappare, alla quale possono essere correlati studi, esposizioni, pubblicazioni.
Il tema del restauro delle architetture del primo Novecento è di grande attualità e oggetto di avanzate ricerche e sperimentazioni progettuali. Abbiamo ora l’occasione di inserirci a pieno titolo in un dibattito internazionale che potrebbe portare lustro alla città e all’amministrazione che dovesse saper gestire un processo di provata qualità all’interno del quale non può mancare un continua ed efficace comunicazione con la cittadinanza. La partecipazione ad un processo come questo si fa anche istruendo i cittadini e spiegando le ragioni di un atteggiamento teso alla conservazione, specie in un caso più difficile da condividere. Certamente nessuno avrebbe da obiettare ad un intervento di conservazione di una qualsiasi delle chiese o degli edifici più antichi del centro storico, ma in passato sono state sostenute posizioni critiche circa la conservazione dell’edificio modernista di piazza Garibaldi rispetto al quale, diciamolo pure, l’appellativo di “bello” non è certo tra i primi che ci vengono in mente. Ma il passo che la città ha il dovere di fare, nell’educare la cittadinanza, è quello di superare un approccio esclusivamente estetico (che tra l’altro è del tutto provvisorio in quanto legato ad un momento storico) ritrovando la consapevolezza del concetto stesso di bene culturale come “testimonianza materiale avente valore di civiltà”. Questa maturità critica allora sarebbe la premessa culturale indispensabile alla corretta gestione del progetto di restauro e porterebbe non solo ad accettare ma a promuovere anche la riscoperta e il restauro dell’affresco di Alessandro Pandolfi, coperto dopo la guerra, che ornava l’interno della Casa del Fascio. Il dipinto, che ancora dovrebbe esistere sotto la scialbatura, rappresentava il duce a cavallo nella Gallarate degli anni Trenta e si potrebbero facilmente riconoscere, nei personaggi raffigurati, i volti di molti gallaratesi di allora.

Matteo Scaltritti
Presidente della Società Gallaratese per gli Studi Patri.

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Pubblicato il 07 Novembre 2012
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