Sant’Antonio, l’agricoltura in festa
Coldiretti: ecco tutti gli eventi in programma
Sant’Antonio Abate è una delle ricorrenze più amate da i Varesini e, al tempo stesso, dagli imprenditori agricoli dell’intera provincia: non a caso, il tradizionale “falò” della Motta, previsto per questa sera, è uno degli eventi più importanti e noti tra le celebrazioni in onore del santo di Coma (Egitto) che si susseguono in tutta Italia.
Domani, 17 gennaio, il calendario liturgico festeggerà il santo protettore degli animali e custode della terra e di un’agricoltura che, oggi come in passato, è molto legata alle proprie tradizioni.
“E’ una festa che ogni paese rurale, dalle Prealpi alla Bassa, vivrà con la Messa e la partecipazione degli agricoltori, con i loro mezzi agricoli e i loro animali” dice il presidente di Coldiretti Varese Fernando Fiori.
Nella città capoluogo, in particolare, proseguiranno le celebrazioni alla Motta, dove nella chiesetta di Sant’Antonio Abate sarà celebrata la Messa alle ore 11 (officerà il prevosto mons. Gilberto Donnini) e alle ore 18 (celebra il vicario episcopale mons. Franco Agnesi).
La benedizione degli animali, seguita dal lancio dei palloncini, sarà alle ore 12.
“Agricoltori e allevatori si ritroveranno nelle rispettive sezioni per celebrare una festa di antica origine e ancor oggi celebrata come un tratto d’unione tra le generazioni che operano nel settore primario” aggiunge il direttore di Coldiretti Varese, Francesco Renzoni.
Sant’Antonio nacque a Coma nella lontana terra d’Egitto in tempi remoti (si pensa nell’anno 251), distribuì ai poveri la cospicua eredità paterna e intraprese una vita di riflessione come eremita: si dedicò poi al conforto dei sofferenti e dei cristiani perseguitati e aiutando Sant’Atanasio nella sconfitta dell’eresia ariana che, in quel tempo, si stava diffondendo nel primo mondo cristiano.
E’ proprio Sant’Atanasio che ne racconta l’opera nella “Vita Antonii” riferendo anche l’anno della sua morte, avvenuta nel 357 (secondo le fonti, sarebbe dunque ultracentenario) nelle lande desolate della Tebaide, dove si era ritirato dedicandosi alla cura del proprio piccolo orto.
L’iconografia raffigura sempre un porcello munito di campanella a fianco del santo egiziano: la leggenda vuole che il porcellino sia stato “complice“ nell’aiutare Sant’Antonio a rubare il fuoco degli inferi per donarlo al popolo, che soffriva il freddo.
La storia, invece, ricorda che i canonici di Sant’Antonio avevano ottenuto il permesso di allevare i maiali all’interno de centri abitati: il grasso di maiale era infatti utilizzato come emolliente per le piaghe provocate dal “fuoco di S. Antonio”, che l’ordine curava negli hospitii od ospedali che era deputato a gestire.
L’Ordine antoniano lasciò, dunque, traccia del suo passaggio attraverso una serie pressoché infinita di ospedali (tutt’oggi dedicati al Santo) presenti anche sul territorio della nostra provincia.
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