Il giornale? “Vale quanto le sue relazioni”
Non è più’ tempo di vendite e pubblicità per le fonti di finanziamento dei giornali: ora il web introduce un fattore nuovo, la comunità. E il fattore generazionale sta cambiando relazioni fra giornali e lettori: un terzo delle visite arriva dai social
Pino Rea, di Lsdi parte con una constatazione curiosa nel presentare il panel “Giornali tra numeri, social e mobile” nell’ambito di Glocal13: “Sono passati trent’anni dal lancio della prima versione di Microsoft Word: nonostante questo la relazione tra carta e web è ancora in alto mare. I siti internet se la cavano molto bene ma il web non riesce a compensare il declino della carta stampata: 3.000 posti di lavoro persi in Italia negli ultimi anni. Web e stampa sono economie diverse? Possono convivere? E che previsioni possiamo fare e in che tempi possiamo misurarci? Risponde Claudio Giua, manager del gruppo Espresso: “I giornali di carta hanno rappresentato per secoli fonte di informazione primaria. Oggi non assolvono pi questa funzione ed è necessario inventare nuovi modelli di business. Sempre di più occorre parlare di contenuti e meno di piattaforme: fare una previsione sui tempi è molto complesso e una valutazione specifica lascia il tempo che trova”.
A Metz, in una riunione di qualche giorno fa, Le Mond.fr ha annunciato 18 milioni di euro di fatturato, mentre in edicola, la carta ne introita 180: c’è un divario enorme fra le due economie. Marco Alfieri, direttore de Linkiesta risponde con una considerazione su questa condizione: “Non usciamo da questa disparità se non pensiamo ai contenuti, come ha giustamente detto Claudio Giua: non abbiamo un business plain fisso. Piuttosto si deve ragionare sulla qualità del giornalismo che se è indistinto rimane fuori mercato. La carta non morirà: morirà ‘questa’ carta”, si andrà verso il ‘digital first’. Cambieranno i giornalisti e il web non sarà pi considerato come la pilotina che porta fuori dalla crisi la carta, ma rappresenterà un cambio di cultura. E non è una questione generazionale: ci sono settantenni che hanno già la testa sul web e ventenni che sono già vecchi”.
Il dibattito ha toccato anche su di un tema che costituisce oramai un evergreen degli ultimi anni: gratuità o no, dell’informazione on line? Giua: “Si sposta dalle due forme tradizionali, che sono pubblicità e vendita. Quest’ultimo fattore è stato messo in crisi dalle nuove generazioni che leggono meno. Poi è venuto anche il calo della pubblicità, che tiene solo nel settore moda e auto. Il valore oggi va cercato altrove. Prima che gli editori, questo valore lo trova chi fa aggregazione: la pubblicità non è più’ intesa come spazio, ma sempre di più si vendono i soggetti. Cosa contare per vendere pubblicità: ha senso contare utenti unici e pagine viste? No, vale di piu’ invece calcolare le relazioni e la durata delle relazioni che avvengono all’interno della rete”.
È d’accordo con questa visione Luca Santoro (Il Giornalaio): “Se circoscriviamo i siti di informazione, abbiamo 6 milioni di utenti unici al giorno, la carta nel produce 20, di milioni di lettori. I problemi riguardano l’organizzazione del lavoro che ha spesso due teste e due anime a seconda di che si parli, di carta o di web. Uno scoglio difficile da superare, come difficile da superare la carenza di branding da parte delle testate on line”.
La strategia torna ad essere al centro dell’opinione di Marco Alfieri che va giù’ duro sul ruolo delle grandi corazzate dell’informazione, che devono diventare “holding di nuove identità informative”, fautori di servizi, e non navigare nella generalizzazione. “Perché un investitore pubblicitario dovrebbe spendere soldi in una macedonia che non dà valore aggiunto? Oggi in grandi giornali hanno l’unico valore aggiunto che è il loro brand” e se non capiscono questo nuovo passo sono destinati al declino.
Enrico Gasperini (presidente Audiweb) interviene a dibattito “caldo” per dare alcuni numeri: “Non è del tutto vero che non vi sono giovani attenti all’informazione: il 33% delle visite dei giornali on line arriva tramite social network”, per non parlare del fenomeno enorme di disseminazione dell’informazione, che è incalcolabile sui social, per esempio coi copia incolla dei testi.
“Per non parlare dei primi dati aggregati: il 20% della ‘total digital audience’ è trascorsa su smartphone e tablet, con picchi fino al 40, 50%.”. ‘I mezzi digitali espandono molto la diffusione dell’informazione, quindi. Chi ha successo con la rete, il modello di business l’ha cambiato, come avviene per diversi editori tedeschi che stanno spendendo miliardi di euro in ricerca e sviluppo, investendo in start-up e aziende tecnologiche che permette dopo anni di staccare dividendi incredibili”. E in Italia? “La somma degli investimenti sul nuovo non corrisponde nemmeno a quando è stato venduto – dice Gasperini – . In Germania la somma algebrica nel digitale arriva a 10 miliardi negli ultimi anni. L’Italia sta quindi vivendo di rendita: questo è il problema dei problemi”.
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