“La boxe come racconto di vita. In 100 anni di cinema”

Intervista al regista varesino Alessandro Leone che sabato alla Feltrinelli presenta il libro "Corpo da ring, la boxe immaginata dal cinema" (Falsopiano), con il critico Mauro Gervasini

Corpo da ring

“Corpo da ring – La boxe immaginata dal cinema”. È il titolo del libro di Alessandro Leone, regista varesino che ha anche diretto un documentario sul mondo della boxe, dal titolo La via del ring. Oltre ad aver avuto successo nazionale con il recente Fuoriscena, opera realizzata dopo aver passato un anno con i ballerini e le ballerini della Scala.
Ora Leone torna al mondo della Boxe, a quella suggestiva, creata e raccontata dal cinema in oltre 100 anni di storia: “Corpo da ring” è edito da Falsopiano e sarà presentato dall’autore, insieme al critico cinematografico e direttore di FilmTv, Mauro Gervasini, sabato 21 alle ore 17.30, alla Feltrinelli di Varese, in via Aldo Moro.

«Il libro è un viaggio nonviolento in 120 anni di rappresentazione del pugilato nel cinema, dall’epoca del muto ai giorni nostri – racconta Leone -. Un percorso che incrocia i generi cinematografici (il comico e la commedia, il musical e il melò, il gangster-movie e il noir), si contamina con il fumetto, racconta su grande schermo le vite di personaggi sportivi del calibro di Carnera, Graziano, La Motta e Alì. Hitchcock, Chaplin, Keaton, Walsh, Robson, Wise, Scorsese, Hill, Eastwood, Howard, Mann sono solo alcuni dei grandi cineasti che hanno visto nella boxe simbologie e componenti drammaturgiche sufficienti a rendere ogni racconto metafora della vita».

Come nasce l’idea di questo viaggio?
«Il libro nasce da un’esperienza e, come capita spessa, le esperienze intense lasciano domande e curiosità, aprono strade e invitano a nuove esplorazioni. Come scrivo anche nell’introduzione di “Corpo da ring”, le sollecitazioni sono arrivate durante la lavorazione del documentario “La via del ring” di Daniele Azzola, di cui sono stato sceneggiatore. Si trattava di indagare un universo (la boxe dilettantistica) che nel nostro paese conta più di dodicimila tesserati e tre milioni di praticanti, dai bambini ai professionisti di ogni categoria. La boxe la conoscevo come spettatore, in verità pigro, affacciato ai grandi eventi internazionali, quando la tv in chiaro decideva di acquistarne i diritti di messa in onda. Per il resto il mio immaginario era legato al cinema. Inevitabilmente, produrre un nuovo documentario ci ha spinti a confrontarci con ciò che era già stato fatto. Ho cominciato a ripercorrere la storia del cinema di boxe (vero e proprio sottogenere) e non ho più smesso. La domanda che mi ha mosso è stata: perché i più grandi cineasti della storia del cinema sono stati affascinati dalla Nobile Arte? In 120 anni di rappresentazione del pugilato il cinema ha descritto parabole avventurose e metaforizzato l’esistenza attraverso le tappe che portano dalla strada alla gloria, ma anche a rovinose cadute. Attraverso la boxe il cinema ha raccontato il 900 e le trasformazioni sociali negli States e in Europa. Il cinema di boxe si è fatto contaminare dai generi cinematografici e ha incrociato la letteratura, il fumetto, i videogame. Non ho resistito alla tentazione di connettere tutti questi elementi. Ne è venuto fuori un panorama sorprendente».

Dopo l’esperienza del documentario, come è cambiata la tua visione della boxe?
«Il documentario mi ha permesso di abbattere alcuni luoghi comuni, che è poi ciò che accade quando osservi più da vicino le cose. Ho scoperto che il pugilato è oggi praticato da tutte le classi sociali, che nel dilettantismo ha un alto valore formativo, che il nostro immaginario è fortemente condizionato da una boxe che è ormai passata e anche da certe rappresentazioni cinematografiche: Toro scatenato e Rocky, tanto per fare due esempi che tutti conosciamo. Film, non amati dai pugili, che nascono in un contesto storico preciso e che in realtà parlano di altro. Soprattutto Scorsese interessato al dramma esistenziale di Jack La Motta.. una sorta di viaggio nell’inferno del campione».

Tutti hanno nell’immaginario Rocky, ma qual è il film che secondo te racconta la boxe vera?
«Non saprei quale sia il film che rappresenti meglio il pugilato. Ogni film descrive un’epoca e una poetica legata all’autore. I temi sono sempre pretesti. Ogni pugile – ho scoperto – ha un film preferito, ma questo non significa che sia legato a tutti i costi alla verità del ring. A Tyson ad esempio piace “Il sentiero della gloria”, la commedia di Walsh che racconta la vita di Corbett, uno dei primi esteti del ring. Il film che personalmente rivedrei all’infinito è “Stanotte ho vinto anch’io” (The Set-Up), pellicola del 1949 di Robert Wise, per la capacità di raccontare gli spogliatoi, dove si avvicendano promesse e pugili suonati, dove le speranze si mescolano alle disillusioni. Una meraviglia».

Manuel Sgarella
manuel.sgarella@varesenews.it

 

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Pubblicato il 20 Marzo 2015
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