Guido Galli è un esempio per i magistrati di oggi

Al giudice Guido Galli, ucciso il 19 marzo del 1980 dai terroristi di Prima Linea, è stata intitolata l’aula di cittadinanza e costituzione al liceo Classico “Cairoli” di Varese

Al giudice Guido Galli , ucciso il 19 marzo del 1980 dai terroristi di Prima Linea, è stata intitolata l’Aula di cittadinanza e costituzione al liceo Classico “Cairoli” di Varese alla presenza della figlia del magistrato, Alessandra Galli, e del pubblico ministero Armando Spataro.

Galli fu assassinato all’Università Statale di Milano dove insegnava criminologia. Aveva 47 anni , una moglie e cinque figli e quando morì non aveva una scorta. «Accanto al suo corpo c’era solo un codice  e quel codice era più forte di qualsiasi altra cosa»  racconta Spataro, amico e collega del magistrato ucciso.

Con la sua vita professionale Galli esprimeva un modello di lavoro e anche di famiglia. «Lo consideravo come un fratello maggiore e per me era il magistrato ideale – continua Spataro -. Lavorava in silenzio, con un senso del dovere quotidiano intriso di normalità. Diverso da un modello, che non apprezzo, di tanti magistrati che si presentano al paese come combattenti isolati, cavalieri senza macchia e senza lode che lottano contro i poteri forti». La giustizia non è una questione che riguarda solo le élite. Un concetto pericoloso, secondo il pm di Milano, perché deresponsabilizza tutti.

Spataro attualizza la lezione di Galli, uomo che amava il confronto e che rispettava il prossimo. Il rispetto del diritto inteso come condizione di convivenza con l’altro, come imprescindibile fattore di civiltà democratica. Una visione lontana anni luce dalle attuali spinte xenofobe che, ad esempio, negano il diritto di culto sancito dalla costituzione.

«Una volta – ricorda il pubblico ministero – Guido strappò un verbale perché un terrorista ne aveva contestato la correttezza. Rimise il foglio bianco nella macchina per scrivere pronto a ricominciare, perché lui, avendo un profondo rispetto per gli altri, non forzava mai il diritto dell’imputato. I terroristi lo temevano perché il suo modo di indagare era originale e intelligente, stava ore e ore a studiare i volantini dei brigatisti, a comparare la grafia e ad analizzare i testi».

Alessandra Galli, che quando venne ucciso il padre aveva 20 anni, oggi è magistrato presso la corte d’appello di Milano. Quando era in quinta elementare fece per compito un’intervista al padre sul lavoro di magistrato. E nel momento in cui legge la risposta, davanti ai tanti studenti che l’ascoltano, la sua voce si rompe per l’emozione: «Perché serve al prossimo, aiuta a difendere la società e mi appassiona».
«Il problema vero che hanno oggi i magistrati – continua Alessandra Galli – è che non vengono percepiti come utili per la società».

Guido Galli, pur essendo nel mirino dei terroristi, non aveva nessuna scorta e nonostante il reale pericolo non se ne lamentava e non trasmetteva angoscia a chi gli stava vicino. «Il dirigente di allora – ricorda Spataro – non gli diede protezione perché lo riteneva un comunista e quindi reputò che non ne avesse bisogno. Guido, che era un profondo cattolico, sorrise di fronte a questa motivazione e continuò il suo prezioso lavoro senza mai parlare di isolamento».
Dopo la sua morte, si aprì il capitolo sicurezza dei giudici e allora lo Stato fornì ai magistrati un impermeabile con giubbotto antiproiettile incorporato e una 24 ore blindata. «So che ora riderete – conclude Spataro – ma con quella valigetta ci si doveva  riparare dai proiettili».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 18 Aprile 2015
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