10 mila chilometri in moto per tutti i “tumorati di Dio”
La storia e l'idea "folle" di un 57enne malato di cancro ad un testicolo che ha deciso di ritrovare sè stesso facendo un viaggio fino a Ulan Bator a bordo della sua Yamaha 300
«Vado in moto in Mongolia per dare una speranza a tutti i “tumorati di Dio”». Possono sembrare parole irriverenti o quanto meno sfrontate, ma pronunciate da un malato di cancro che si è tatuato la data di scadenza sulla mano possono aprire un’interessante riflessione.
Lui è Giovanni Parolo, 57 anni di Besnate, geometra, già titolare di un’impresa di costruzioni ma anche appassionato di viaggi, di subacquea, di deltaplano e tanto altro. Dopo una vita di lavoro, tra case costruite in giro per l’Italia e due esperienze oltre confine in Costa d’Avorio e alle Mauritius, nel 2013 a dicembre i medici gli hanno diagnosticato un tumore in stato avanzato ad un testicolo: «Da lì è cominciato un calvario fatto di visite, chemioterapie, degenze in ospedale, problemi di salute, la rimozione del testicolo aggredito dal tumore – spiega Parolo -. Una vocina dentro mi diceva di lasciar perdere, di vivere la mia vita senza intorno dottori e medicine. Così ho deciso di fare un primo viaggio, a Santiago di Compostela: non ho potuto fare il Cammino, perchè non riuscivo a muovermi bene, e così sono salito sullo scooter di mio figlio, un Liberty 50, e sono partito. Non sono credente, non sono cattolico: sono andato a Santiago convinto da mia moglie, più che altro per stare un po’ con me stesso e ritrovare la serenità. Bè, quando sono tornato, stavo bene. Ero felice, rinato. Da allora non vado più in macchina, ma solo in moto o motorino».
Nel 2015, il 1 marzo, Parolo ha fatto un’altra visita da un medico a Roma: «Mi ha dato 6 mesi di vita, così mi sono tatuato la data di scadenza sulla mano: 1 settembre 2015. Sono passati più di sette mesi e sono ancora qui. Quando mi guardo la mano penso: “Che culo!”. Ora sto bene, vivo la mia vita, sono sereno».
Non solo, ora ha deciso di fare un viaggio lungo, anche complicato, anche se lui tende a sminuire e non vuole sentire parlare di “pazzia”: «Vado in Mongolia in moto, con la Yamaha 300 che ho preso usata a 250 euro. Con i sistemi che ci sono oggi, telefonini e tecnologia varia non è un viaggio troppo temerario. Volevo partire da solo, ma forse viene con me il mio amico Florio. Non ho detto nulla ai miei (è sposato e ha tre figli, il più piccolo quasi diciottenne, ndr) – spiega -: credo che lo sappiano, ma fanno finta di non saperlo. Lo faccio perchè ho voglia di sentirmi me stesso, di riscoprire la solitudine, lontano dallo stress, dalle corse, dalla vita frenetica. In Mongolia ci sono spazi immensi, tempi dilatati, si vedono le stelle in cielo. Partiremo a inizio giugno e passeremo attraverso la Russia, vedremo posti magnifici (il lago Bajkal su tutti), senza fretta, incontrando persone. Abbiamo programmato di metterci due mesi e mezzo per andare e tornare: da Besnate a Ulan Bator ci sono circa 10 mila chilometri. Mi porto dietro 1000 euro: voglio farcela con quelli, senza spendere di più, facendo una vita col minimo indispensabile. Mi porto dietro qualche ferro per riparare la moto, un fornelletto, la tenda, un po’ di attrezzature. Per me e per tutti i “tumorati di Dio”».
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