Ho venduto la mia idea agli svizzeri

Alberto si sta laureando in ingegneria alla Liuc. Due anni fa ha fatto la summer school in Silicon Valley, ma al suo ritorno ha capito che l'Italia non è ancora un paese per startupper e in attesa che lo diventi ha varcato il confine

Liuc generico

Quando Stefano Caccia, guru della Silicon Valley in missione all’università Liuc di Castellanza, chiede se tra gli studenti presenti alla sua lezione c’è qualcuno che ha fondato una startup, dal fondo della sala si alza una mano. «Buongiorno, mi chiamo Alberto Caielli. Io avevo la mia idea imprenditoriale innovativa, ma l’ho venduta agli svizzeri».

Vendere un’idea a 24 anni e prima di una laurea magistrale in ingegneria gestionale, non è da tutti e Alberto questo lo sa. La domanda però rimane: perché non ha dato vita a una startup in Italia? «Quando ho partecipato alla summer school in Silicon Valley con il professor Marco Astuti – racconta lo studente – mi sono reso conto che esiste un altro mondo, molto diverso dal nostro, dove le buone idee hanno un valore riconosciuto».

Ritornato dalla scuola estiva, l’aspirante ingegnere ha capito che tradurre la sua idea («Una soluzione a un problema di meccanica», non dice di più perché non sa ancora se l’iter per il brevetto è terminato) in un business in Italia era molto complicato per le difficoltà tipiche del nostro sistema, tra cui la principale è la mancanza di capitali di rischio a supporto degli startupper. «Insieme a una mia collega – continua Alberto – abbiamo chiesto un colloquio a un professore dell’università della Svizzera italiana che, ascoltata la nostra idea, ci ha dato subito i soldi, nonostante non fosse nemmeno brevettata. Una facilità di azione che mi ha ricordato molto la Silicon Valley».

Alberto proviene da una famiglia di imprenditori a loro volta innovativi, perché furono tra i primi in Italia a dar vita a quelli che oggi chiamiamo bricolage, cioè negozi che forniscono il materiale per il fai da te. E non è certo una novità dire che l’imprenditorialità è spesso anche un fatto di emulazione di comportamenti appresi in famiglia. Gli aziendalisti lo sostengono da sempre. Forse, però, in un contesto completamente cambiato sotto la spinta della globalizzazione alle nuove generazioni di imprenditori qualche pezzo del puzzle manca. Se fino a dieci anni fa andare in banca e chiedere un finanziamento per un’impresa era semplice, oggi non lo è più.

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da sinistra Alberto Caielli e il professor Marco Astuti

«In Italia – sottolinea il professor Marco Astuti, organizzatore della summer school- manca un ecosistema per le startup. Nella Silicon Valley ci sono dieci università, tra cui alcune prestigiosissime, moltissimi spazi di coworking, le maggiori società di venture capital, migliaia di business angel, le principali banche e le più grandi aziende del mondo. Da noi questo ecosistema, perlomeno così strutturato, non esiste. Per iniziare si dovrebbe pensare a un acceleratore made in italy, cioè ritagliato sulla nostra realtà».

L’esperienza di Alberto Caielli mette in evidenza un fattore che è più critico degli altri: la mancanza di capitali di rischio a sostegno delle startup o comunque delle buone idee imprenditoriali. Il rischio infatti non è gradito ai risparmiatori italiani e il Belpaese, si sa, è la massima espressione del capitalismo relazionale. «È vero – conferma Marco De Battista dell’Unione industriali della provincia di Varese – in Italia manca un mercato della finanza.  Confidustria ha previsto da qualche anno uno strumento che si chiama “AdottUp”, cioè un programma specifico per adottare una startup da parte delle pmi. Il vantaggio è reciproco: lo startupper può misurare la sua idea in un contesto imprenditoriale già consolidato, per l’imprenditore che adotta può essere un acceleratore di innovazione».

 

 

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Pubblicato il 05 Maggio 2016
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  1. Avatar
    Scritto da Felice

    Lavoro a Milano ed ho a che fare con decine e decine di giovani promettenti e con startup anche molto innovative. Un esempio è TAG Milano, uno spazio comune messo a disposizione dai differenti Venture Capital per incubare nuove soluzioni e promettenti idee.
    Di conseguenza questo ennesimo commento da puzza sotto il naso veramente mi lascia perplesso e non lo nascondo anche un po’ disgustato. Se lei vede più opportunità in Svizzera rispetto ad una città viva e in continua evoluzione come Milano si rassicuri, è uno tra i pochi.

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