Oltre le Formiche: Michele Mozzati scrittore fa il bis, ispirandosi a Hopper

E' stato da poco pubblicato “Silenzi e stanze” il suo secondo libro di racconti che ha un punto di partenza originalissimo: la visione dei quadri di Hopper. L'autore ci racconta come è nato

orino michele mozzati

C’è molto oltre le Formiche nella poetica di Michele Mozzati, “la metà” di Gino e Michele. All’autore, l’umorista, l’imprenditore di Smemoranda, va aggiunta infatti anche una carriera di scrittore “che non ti aspetti: è stato da poco pubblicato infatti il suo secondo libro di racconti che ha un punto di partenza originalissimo: la visione dei quadri di Hopper.

Pubblicato da Skira editore, il libro “Silenzi e stanze. Altre storie da Edward Hopper” segue di un anno la sua opera prima, “Luce con muri. Storie da Edward Hopper”, e non si trova niente di ciò che ci si aspetta: si scopre, al contrario, un Michele Mozzati del tutto inedito.

«I quadri di Hopper danno lo stimolo a raccontare storie – spiega Mozzati – Ad esempio, se guardo la sua celeberrima casa con un terrazzo, a me vengon in mente i terrazzi della mia vita, legati spesso a degli amori: ho legato la mia vita e il mio percorso a una serie di terrazzi, e a lungo ho invidiato i terrazzi degli altri. Così, l’ispirazione davanti a Second story sun light (questo il nome del quadro, ndr ) è stata automatica».

Generico 2018
Second story Sunlight, di Edward Hopper

Questo è il punto di partenza del libro, dove non si deve cercare umorismo e bisogna togliersi ogni preconcetto. «Sai qual è il problema? – risponde – E che io ho sempre scritto cosi. Le persone si misurano anche della loro capacità di avere diverse facce a seconda dei momenti della vita e della giornata. Ho sempre cercato di essere tante cose: anche la persona piu pirla del mondo, poi subito dopo essere una persona seria, profonda a mio modo, o nostalgica. Non occorre essere sempre dei tromboni noiosissimi o dei coglioni totali: esistono degli aspetti diversi nelle stesse persone. E questo, per me, è uno».

Di certo, il lavoro ha avuto lusinghieri riscontri in vendite e critica: «Il fatto che Skira, casa editrice per palati fini, abbia scelto me mi ha onorato». Scelta confermata anche nella seconda edizione, arrivata cosi presto, poi: «Sì, è uno di libri che per loro era andato bene: ha avuto soprattutto delle critiche molto belle, che mi sono conservato».

Ma come definire Hopper, e che importanza ha per l’ispirazione altrui? «“Luce con muri”, “Silenzi e stanze”: se metti insieme le 4 parole dei titoli dei mei due libri c’è concentrato tutto Hopper, che considero il realista più astratto che ci sia – spiega Michele Mozzati – Anche i registi amano tantissimo i suoi quadri: “Quando vedi un quadro di Hopper ti domandi cosa è successo un attimo prima e cosa succederà un minuto dopo, come in un fermo immagine” disse Wim Wenders di lui. E quando vedi persone dipinte da lui, sembra sempre che guardino oltre una finestra e ti fanno sempre domandare “cosa cazzo ci sarà fuori da quella finestra?”».

Il secondo libro è stato un’occasione per conoscere meglio anche l’Hopper uomo: «Mentre scrivevo il secondo libro ho incominciato a conoscere meglio anche la biografia di Hopper, tanto che poi nel libro ho aggiunto una prefazione, quasi un racconto, che lo spiega. Una persona pazzesca: si è innamorato della moglie ad un suo corso di pittura, era una dilettante e lui l’ha considerata sempre tale e come tale voleva farla rimanere. Non gli ha permesso di prendere la patente perché sennò gli avrebbe “rubato i paesaggi”, per dire. Una prova del fatto che bisogna sempre scindere l’opera dalla persona, cosa che di questi tempi sarebbe utile».

«Però, per quanto riguarda Hopper, pur essendo – e vivendolo io – come la persona più lontana da me nella sua vita di rapporti umani ufficiali e di sociopolitica, lo considero un genio assoluto delle emozioni trasmesse. E quindi lo vivo come parte di me – conclude Mozzati – Forse Hopper è quello che non ho voluto essere, per fortuna, ma anche quello che avrei voluto essere: la capacità di fermarsi, di sospendersi, di interpretare la luce (e il suo opposto, le sue penombre) di accettare, condividere, imporsi, gustarsi i silenzi. E forse anche di amare, a modo suo. Perchè ognuno in fondo ha un suo modo di amare, anche il peggiore modo ai nostri occhi magari per lui (e per lei) non lo era».

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 26 Novembre 2018
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