All’università l’analisi della giurisprudenza: Gesù ha avuto un giusto processo?
Il giurista massimo Miglietta dell’Università di Torino ha analizzato alcuni degli episodi più iconici della condanna di Gesù in occasione della conferenza che si è tenuta martedì 30 aprile all’università dell’Insubria
Si tratta probabilmente il processo più analizzato da 2000 anni, ma ancora oggi gli studiosi hanno opinioni contrastanti. Dall’arresto al Monte degli ulivi all’incontro con il Sinedrio, dalla sentenza di Ponzio Pilato alla crocifissione sul Golgota; durante la conferenza che si è tenuta martedì 30 aprile all’Università dell’Insubria si è discusso del processo a Gesù e quali eventi riportati nel Nuovo testamento possono essere considerati storicamente attendibili in base a quello che sappiamo dell’antico diritto romano.
La conferenza organizzata dalla professoressa Paola Biavaschi, docente in Fondamenti del diritto e Diritto dell’informazione dell’Università dell’Insubria, si è aperta con l’intervento di Andrea Spiriti, ordinario di Storia dell’arte dell’Insubria, in cui si è ricostruito il percorso degli ultimi spostamenti di Gesù e degli apostoli a Gerusalemme. Subito dopo Paolo Bellini, docente di Linguaggi Politici dell’Insubria, ha espresso alcune considerazioni sul colloquio tra Gesù e Ponzio Pilato, in particolare la domanda “Che cos’è la verità?” posta dal prefetto romano.
L’intervento più ampio è stato però riservato a Massimo Miglietta, giurista e professore ordinario all’Università di Trento, che ha descritto alcuni avvenimenti riportati dalle scritture per poi affiancarli a quello che oggi conosciamo su come gli antichi romani amministravano la giustizia.
«Questo processo – ha spiegato il professor Miglietta – è stato fondamentalmente la richiesta a un terzo, Ponzio Pilato, di decidere riguardo a una diatriba tra due privati come il Sinedrio e Gesù. Gli esperti che hanno analizzato questo episodio non sono mai riusciti a staccarsi dal tema della cosiddetta “colpa giudaica”». Infatti, parecchi studiosi di matrice cristiana hanno criticato pesantemente il comportamento dei giudei dell’epoca, mentre diversi ricercatori di origine ebraica hanno cercato di riabilitare l’immagine del Sinedrio.
Un argomento che gli studiosi cristiani hanno utilizzato per screditare il comportamento dei giudei è il fatto che Gesù fosse stato arrestato per un capo d’accusa, ma fosse poi stato processato per un altro reato. «Gesù – ha specificato Miglietta – è stato arrestato dal Sinedrio con l’accusa di bestemmia. Visto però che per i romani questo non costituiva reato, Gesù è stato accusato di fronte al prefetto Pilato di lesa maestà, un comportamento sovversivo che l’imperatore aveva ordinato di condannare severamente».
«In realtà – ha però aggiunto Miglietta -, il fatto che Gesù si è presentato come figlio di Dio richiamava la sua natura divina e per il popolo ebraico chi è Dio deve inevitabilmente essere anche re di Israele. Gli ebrei aspettavano infatti un messia che avrebbe ristabilito il regno di Yahweh in Palestina. Per questo motivo, non era possibile distingue il crimine religioso e il crimine politico, perché il comportamento di Gesù offendeva il Sinedrio e allo stesso tempo minava l’autorità delle istituzioni romane».
Ma gli avvenimenti del processo raccontati nei vangeli sono veramente accaduti? Per il professor Miglietta è probabile che alcuni fatti siano stati alterati se non totalmente inventati, tra questi la notissima scena di Ponzio Pilato che si lava le mani citata dall’evangelista Matteo. «Lavarsi le mani con acqua – ha spiegato Miglietta – per astenersi da una decisione non era un’usanza ebraica estranea al mondo romano. Una pratica diffusa tra i magistrati greci e romani era invece quella di bagnarsi le mani con del sangue di un animale per rifiutare la responsabilità di un’esecuzione».
Secondo Miglietta, alcuni studiosi di matrice cattolica hanno utilizzato questo episodio per scaricare tutta la colpa della condanna ai membri del Sinedrio, «ma – ha poi aggiunto il professore – uno studioso del diritto non può considerare questo racconto così scricchiolante come una fonte attendibile».
Ci sono comunque diversi elementi nel racconto biblico che secondo Miglietta dimostrano che il processo a Gesù si sia concluso effettivamente con una sentenza ufficiale delle autorità romane e non una semplice consegna dell’imputato agli ebrei.
«L’emanazione – ha spiegato il professore – di una sentenza ufficiale è dimostrata da diversi elementi. Innanzitutto, la crocifissione era una pena tipicamente romana, fatto avvalorato dalla presenza del centurione che si assicura con una lancia della morte di Gesù. Inoltre, l’iscrizione che veniva affissa sulla croce era una versione abbreviata della sentenza del magistrato. Infatti, quando i membri del Sinedrio chiedono al prefetto di modificare l’iscrizione, lui si rifiuta. Questo ci fa capire non solo che Pilato doveva essere un tipo dalla testa dura, ma anche che l’iscrizione corrispondeva alla sentenza riportata sul verbale, che non poteva essere modificata».
Ma quello di Gesù è stato un processo giusto per il diritto dell’epoca? «Io vedo questo processo – ha concluso Miglietta – come un tipico procedimento con tre fasi: istruttoria del giudizio ed esecutiva, dove le varie parti hanno svolto i loro compiti e in cui è stata anche fornita all’imputato una minima possibilità di difesa. Non spetta al giurista affermare se una sentenza è moralmente giusta, ma mi sento di dire che per quanto riguarda l’aspetto formale il processo a Gesù ha rispettato, tranne in alcune fasi, le modalità previste dalla legge romana».
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