Davide Tonetti: “La mia vita dopo Masterchef”

Quattro chiacchiere, a poche ore dalla conclusione di Masterchef 9, con il varesotto Davide Tonetti: che vive a Trieste ma non dimentica la sua Verghera

Davide Tonetti - Masterchef 9

Non è riuscito a superare la posizione del miglior varesino mai arrivato a Masterchef, Davide Aviano.

Ma essersi piazzato alla sua stessa posizione – il quarto posto, ad un passo dalla finalissima – in un’edizione dove i concorrenti erano mediamente ad altissimo  livello, è stato motivo di orgoglio per chi si sente varesino e varesotto.

Davide Tonetti, 32 anni, ora residente a Trieste,  ha portato avanti con onore la bandiera delle nostre zone: per laboriosità, capacità e voglia di imparare da questa straordinaria esperienza.

E con onore è caduto, anche se un passo prima del podio: più precisamente “abbattuto dal missile”  (secondo l’immagine lanciata dal giudice, varesotto anch’esso, Giorgio Locatelli) che le ha lanciato Maria Teresa, arrivata tra i primi tre: un impossibile dolce realizzato con sfere di cardamomo, mela verde e yogurt con una sorta di biscotto spugna alla menta: una impossibile ricetta dello chef tristellato Paolo Casagrande, anzi la ricetta più difficile di tutte quelle che aveva portato ai concorrenti in gara.

Davide però non sembrava tanto triste di uscire, quanto grato dell’esperienza: e nella sua prima intervista fuori dalla cucina di Masterchef, proviamo a parlarne, approfittandone per mettere qualche “puntino sulle i”.

Davide Tonetti - Masterchef 9

Innanzitutto, chiariamo una cosa: ma sei di Gallarate o di Samarate?
«Sono di Verghera. Ci tengo molto a questa distinzione. Il dubbio ci sta, però, perché mi sono trasferito a Gallarate quando ho deciso di andare vivere da solo nel 2012. Poco dopo li ho anche convissuto, perché ho conosciuto mia moglie, e poi l’appartamento è diventato ben presto stretto perché abbiamo avuto due figlie»

In trasmissione si ricordava più che altro la residenza attuale, a Trieste. Tu ti senti gallaratese o triestino?
«Io mi sono trasferito a Trieste l’anno scorso, perciò 30 anni della mia vita li ho vissuti qui. Amo le zone dove vivo ora, ma sono molto più gallaratese che triestino…»

Qualcuno, in effetti, ha riconosciuto gli amici che erano con te al provino…
«Infatti: sono venuti con me perché erano proprio miei amici da tanti anni, e anche per una questione logistica: le prove si svolgevano a Milano, ed era più facile che mi accompagnassero loro piuttosto che trasferire la famiglia da Trieste»

Cosa facevi dalle nostre parti?
«Lavoravo in una azienda in cui sono entrato come magazziniere mentre studiavo all’università: produceva articoli di pelletteria come borse, cinture. Nel corso degli anni l’azienda è cresciuta molto e io con lei: sono diventato infatti un suo commerciale. E’ stato cosi che ho cominciato ad andare spesso in Giappone, e in generale in estremo oriente: perchè era il mercato di riferimento di quella società, che mi ha dato tantissimo, innanzitutto molti amici».

Ed è qui che hai conosciuto e amato il Giappone?
«Non proprio: con tutti i viaggi che ho fatto lì non posso dire di averlo mai visitato davvero. Quando si viaggia per lavoro non è mai bello come sembra all’esterno: magari si va spesso in Giappone e non lo si vede mai, oppure si va all’estero 15 giorni su un mese, e non fai felice chi sta a casa…  Però c’è da dire una cosa: che una costante della cultura giapponese è concludere gli affari al ristorante. E il risultato è che ne ho conosciuti tantissimi, dal più modesto allo stellato, con mille piatti diversi, a seconda ovviamente del cliente con cui andavi. E questo mi ha permesso di assaggiare tanti sapori differenti, che poi cercavo di riprodurre quando tornavo a casa…»

E a Trieste, come ci sei arrivato?
«Mia moglie è triestina. L’ho conosciuta a Milano. A Trieste, poi ci siamo arrivati a conclusione di un anno che è stato parecchio pesante, dal punto di vista personale: quello in cui ho perso il lavoro, è mancato il papà di mia moglie, sono successe altre cose difficili da affrontare. In realtà, l’idea di trasferirci l’avevamo già: il 2018 ha solo accelerato i tempi, e magari cambiato le modalità. In compenso, quel benedetto anno è quello che mi ha portato a decidere di iscrivermi a Masterchef. Con il mio vecchio lavoro non avrei potuto: il capo non avrebbe avuto niente in contrario, ma probabilmente mi avrebbe detto “non star li a tornare indietro, se ci vai”. Ma, visto che l’azienda non c’era più e nemmeno il mio lavoro non avevo più niente da perdere, e cosi ci ho provato».

Il cibo è una passione che hai da sempre o è recente?
«Da piccolo più che altro mangiavo: fino ai 14 anni ero bello rotondo… poi ho iniziato a fare sport, forse chissà è cambiato il metabolismo, e la passione del mangiare è diventata passione del cucinare. Ora a casa le cose sono ben chiare: la cucina è area mia».

Dalla tivù ti vedevamo come una via di mezzo tra Calimero e il primo della classe. E’ questo, Davide Tonetti? Ti ci ritrovi almeno un po’ o sei diverso?
«Dunque: nella vita al di fuori del mondo di Masterchef sono un tipo parecchio estroverso, ma parecchio. Magari a volte pure troppo. E se qualcosa non mi interessa non è che sia proprio un perfettino, son bello rilassato…Ma quando mi concentro su qualcosa, o ci tengo particolarmente, è diverso: entro in quella che chiamo “modalità lavoro” e sono molto concentrato. Per me Masterchef non è mai stato un programma televisivo, ma una prova per vedere se questo poteva diventare davvero un lavoro, come pensavo da un po’ di tempo a questa parte. Masterchef mi dava la misura di quante possibilità avessi nel futuro: per quello ogni volta che entravo in masterclass per me era come andare ad un esame. Il mio terrore era di uscire per un motivo stupido, un errore grossolano: e da questo punto di vista, non ho niente da rimproverarmi (Davide è uscito, al quarto posto, su di un dolce complicatissimo creato dallo chef tre stelle Paolo Casagrande, ndr). Per di più, i tempi sono molto piu serrati di quel che sembra in tv, e ognuna di quelle prove portava con sè un carico di emozione forte, ogni volta diverso. Insomma, quello che vedevate era il Davide concentrato: quando cucino, o mi impegno in generale, io ci penso tantissimo prima di mettermi a realizzare concretamente le cose. Per dire: se mi sveglio con la voglia di cucinare qualcosa, durante la giornata ci rifletto continuamente. Poi la sera cucino, ma dopo averci pensato per ore… Avere 40 minuti per mettere insieme i pensieri e realizzare qualcosa, per come sono fatto io, è stata una vera sfida».

E’ scoppiato solo nelle ultime due puntate lo scontro con Maria Teresa, ed è stato devastante. Com’è successo?
«Noi siamo tanto diversi. E quando hai davanti una persona così diversa da te, conviverci per tanto tempo non è facile. Sinceramente, mi è spiaciuto rivedere le mie reazioni, mi sento molto più gentleman di solito. Ma lì l’emotività era a livelli che non riuscivo a governare. Mi dispiace, è stata una mia mancanza».

Adesso come lo vedi il futuro?
«Direi che il mio primo step, fuori di qui, è lavorare: fare esperienza, sudare un po’ nel mondo della cucina e diventare quello che non sono ancora pienamente. Voglio crescere e portare avanti questa passione, che voglio diventi la mia professione».

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 07 Marzo 2020
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