Rsa Madonna della Croce di Viggiù: “Tutte le procedure di sicurezza Covid sono state rispettate”
Lo staff della Fondazione che lavora sulle procedure di sicurezza per la crisi Covid interviene sulla gestione dell'emergenza
«Nessun ritardo né inosservanze dei protocolli di sicurezza anti Covid. Tutto è stato fatto rispettando scrupolosamente il Documento di valutazione dei rischi e i pini preisposti dopo la prima ondata della pandemia».
Rispedisce al mittente ogni accusa il presidente della Rsa Fondazione Madonna della Croce di Viggiù Dario Gai, dopo le dichiarazioni del sindacalista della Uil che aveva avanzato critiche nella gestione del focolaio di Covid con cui la struttura ha dovuto fare i conti a partire dalla prima settimana di novembre. Al riguardo Gai lascia la parola ai vari rappresentanti presenti.
Dopo la prima ondata dell’epidemia da Covid, la struttura ha utilizzato i mesi di “tregua” per riorganizzare gli spazi e dettagliare alla luce dell’evoluzione dell’emergenza tutte le procedure di sicurezza per contenere il diffondersi del contagio, spiega il dottor Mario Bianchi, direttore sanitario della Rsa: «Visto l’andamento dei contagi nella seconda ondata, siamo intervenuti sugli spazi, creando aree vuote destinate all’isolamento, in vista di un possibile nuovo focolaio. In particolare, ipotizzando che il trasferimento degli ospiti Covid all’esterno della Rsa, ancorché previsto da Regione Lombardia, non fosse possibile per saturazione delle strutture accettanti è stata individuata e e liberata l’Ala A del secondo piano, in parte già libero. Dunque, quando si sono verificati i primi casi sospetti di contagio, confermati dai test rapidi effettuati, i pazienti sono stati trasferiti lì, seguendo le procedure. I primi casi si sono verificati qualche giorno dopo che il laboratorio che ci processava i tamponi era stato precettato da Regione Lombardia. Quando è stato individuato un nuovo laboratorio abbiamo ritamponato tutti gli ospiti della struttura risultando positivi tutti i residenti al primo piano, eccetto due. Pertanto, definito il focolaio circoscritto al primo piano, lo abbiamo messo in isolamento non potendo l’ala A del secondo piano contenere tutti i positivi riscontrati. Un’opzione prevista dai protocolli di sicurezza, compresi percorsi dedicati e procedure. E’ tutto protocollato».
«La prima preoccupazione è stata, ed è, quella di salvaguardare gli ospiti di cui non si conosce ancora la positività o meno, e l’unica possibilità è quella di spostare i pazienti positivi in spazi dedicati che abbiamo individuato già nel mese di giugno – spiega la dottoressa Noemi Astuti, infettivologa dell’Ospedale Sacco di Milano che dai primi mesi dell’epidemia affianca il direttore sanitario nella gestione dell’emergenza Covid – Anche il personale è stato formato nel modo corretto e da aprile, una volta alla settimana, ci sono incontri con tutti gli operatori sanitari».
Il responsabile del servizio di protezione e prevenzione Andrea Baù ha costantemente in aggiornamento il Dvr, il documento di valutazione del rischio che contiene tutte le procedure di sicurezza: «Da fine febbraio il Dvr è stato revisionato 8 volte per aggiornare procedure e metodologia per far fronte alle problematiche specifiche dell’emergenza Covid – spiega mostrando il documento – Ogni passaggio è stato condiviso con il Comitato Covid della Fondazione, il responsabile Covid e il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Lavoriamo in collaborazione con gli operatori, che sono stati formati, e in equipe con la dottoressa Astuti e la dirigenza».
Sul tema della sicurezza e prevenzione, la Fondazione ha anche investito per apportare miglioramenti alla struttura: «Sono stati sanificati ed igienizzati i condotti del riscaldamento e messi in opera dispositivi speciali – aggiunge il presidente Dario Gai – Un investimento di circa 100mila euro che permette di sanificare in modo permanente l’aria in circolo nella struttura. Inoltre, ed è una scelta onerosa, visto l’andamento epidemiologico della seconda ondata e proprio per avere a disposizione spazi per gli isolamenti, è stata fatta la scelta di rallentare la progressiva occupazione dei posti letto liberi, rinunciando ad entrate che per la nostra Fondazione, che è una onlus, sono molto importanti».
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