I ragazzi e l’anestesia dei corpi dietro gli schermi

Quel desiderio insaziabile di stare insieme dei ragazzi usando oggi ogni mezzo possibile di comunicazione, domani li guiderà alla riconquista della sensorialità delle relazioni

Ragazzo schermo Foto di Bokskapet da Pixabay
Foto di Bokskapet da Pixabay

L’anestesia è l’assenza delle percezioni ed è per questo che quando siamo anestetizzati non ne avvertiamo, l’anestesia è qualcosa che riguarda il corpo. In questo periodo intriso di contatti telematici, nel quale la maggior parte delle persone si vede attraverso uno schermo, si assiste al gioco di una sottile anestesia che si pone tra gli individui in collegamento e per questo dentro uno schermo.

Separati dagli altri, quello che vediamo è sempre un mezzo busto o un primo piano, come avviene per i personaggi della televisione considerati molto spesso icone; quella che invece udiamo è una voce artificiale a volte irreale perché disturbata dal segnale e non ci arrivano né trasmettiamo significati attraverso il linguaggio corporeo che solitamente tutti usiamo.

È risaputo che il nostro cervello riesce sempre a escogitare una strategia per adattarsi ai cambiamenti, se questi però si protraggono nel tempo cronicizzandosi, ecco che diventa necessario elaborare un’ulteriore strategia che possa tenere sotto controllo un’aspettativa prolungata e magari fonte di sofferenze psichiche come lo sono le ansie o le angosce (come avviene in questo periodo pandemico, durante il quale non viene mai meno il desiderio di tornare alla normalità, nonostante il continuo protrarsi del traguardo).
Subentra l’abitudine, che aiuta a sopportare l’insofferenza
, poiché dalla ripetizione crea la metodicità e il controllo, pertanto la sicurezza. Il rischio è allora quello che si creino abitudini difficoltose da scardinare poi, come l’abitudine di avere relazioni telematiche alle quali il lungo periodo di pandemia ci ha costretti; un lungo periodo durante il quale i corpi sono stati privati di gran parte dei loro linguaggi e della quale perdita ci si può abituare.

È così anche per i nostri adolescenti che si ritrovano in DAD, a distanza di un anno dal primo lockdown.
Ci verrebbe forse da pensare che loro, nativi digitali, sentano meno la mancanza dell’essere fisicamente presenti, con tutte le sfumature corporee e paraverbali che la concretezza della fisicità si porta appresso.

Lanciamo dunque queste domande, che sono anche il principio di una riflessione: Come si sono adattati i nostri adolescenti? Avvertono la mancanza, sentono la frustrazione, reagiscono e trovano strategie, soluzioni? Come si potrà, una volta terminata la pandemia, togliere il velo di anestesia corporea depositatosi sulle relazioni? I contatti, come dovranno essere ristabiliti?

Ritornare alla completa presenza, dopo un lungo tempo di astinenza, significa tornare a contattarsi usando di nuovo la sensorialità, la quale va stimolata al fine di riprendersi dopo un lungo intorpidimento; e sarebbe opportuno allora ristabilire contatti fisici fatti di abbracci e strette di mano, fatto come un tempo di saluti guancia a guancia, di baci e odori nell’aria, di massaggi in famiglia, di giochi corporei dove ci si prende e ci si afferra, per attuare un riconoscimento di ciò che è stato anestetizzato e costretto a rimanere dietro uno schermo.

Forse saranno proprio loro, gli adolescenti, ad aprire la strada: loro sopravvivono, si sostengono vicendevolmente con tutti i mezzi di comunicazione possibili; li intravediamo camminare per le nostre città di nascosto, a volte trasgredendo, ma dimostrando quel desiderio insaziabile di stare insieme, di combattere la solitudine col-legandosi agli altri.

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Pubblicato il 23 Marzo 2021
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