Da Arsago Seprio ai reportage in Tibet e in Francia: la storia di Edoardo Marangon
L'intervista a un giovane di Arsago Seprio che sogna di fare il fotoreporter: nonostante l'età, Edoardo Marangon ha già due viaggi importanti alle spalle e dei reportage molto umani, in grado di colpire la sensibilità di chi guarda

«La fotografia è uno dei linguaggi più forti al mondo, perché riesce ad arrivare a tutti. Ho iniziato a fotografare perché mi sono appassionato l’arte e al linguaggio visivo».
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Edoardo Marangon, ventitreenne di Arsago Seprio (in foto), è un giovane fotoreporter con le idee ben chiare sul futuro: far emergere il lato più intimamente umano dell’essere umano tramite la fotografia etica e sociale.
«Lavoro con il lato umano delle persone. Voglio raccontare l’essere umano e le sue trasformazioni, ma soprattutto mi interessa immortalare gli uomini all’interno di situazioni disumane: vado a vedere chi è costretto a vivere in posti dove non è normale vivere, immerso in situazioni emarginate», spiega Marangon.
Nonostante la giovane età, il fotografo ha già compiuto dei viaggi in Europa e in Asia, realizzando dei reportage.
Nel Tibet che resiste all’ingerenza cinese
Il primo, nel 2017, in Tibet e Nepal insieme a un groppo di fotografi per realizzare un documentario sulla vita dei tibetani, «alla ricerca di vecchie tradizione ultime usanze tibetane che stanno scomparendo a causa dell’invasione cinese».
Tibet, nonna e nipote sulle sponde del Namtso Lake, (luglio 2017)

«Siamo stati a Katmandu, in Nepal, e dopo ci siamo trasferiti sugli altipiani del Tibet. Poi, passando da Lhasa in compagnai di una guida locale, abbiamo attraversato altipiani e villaggi sperduti nel nulla».
Cosa ti ha colpito di più? «Tra le cose che più mi hanno colpito, oltre ai racconti sulle condizioni di vita imposte dal regime, sono state queste città apparentemente modernissime e inavvicinabili, che saranno popolate solo da cinesi: una sorta di neocolonialismo».
Tra i campi profughi nel nord della Francia
Recentissimo il viaggio in Francia, negli ultimi campi profughi di Calais e Dunkirk realizzati nel 2016, a gennaio 2022. «Ho trascorso due settimane nei campi di chi cerca di attraversare il canale della Manica, fotografando i loro momenti di quotidianità in posti che non sono adatti alla vita. Mi ha colpito come ce la stanno facendo, sembra quasi una vita normale anche se non lo è», racconta.
«Nel campo la maggioranza era della stessa etnia: le persone nutrivano le stesse speranze, così come erano simili i loro comportamenti e i tentativi di mantenere vive la loro cultura e le abitudini originarie della loro terra».
Videochiamata di gruppo, campo profughi di Calais, gennaio 2022

Ha vissuto fianco a fianco con i curdi, gli iraniani e gli afghani, che erano arrivati in Francia da qualche mese, dopo aver attraversato la rotta balcanica o l’Italia (passando dal Monte Bianco): «Le persone sono state gentili con me, soprattutto i curdi che mi hanno ospitato: ho trovato una grande umanità, ci hanno accolto subito come se fossimo della loro famiglia».
Pranzo su binari ormai in disuso, campo profughi di Calais, gennaio 2022

Tra i tanti incontrati, spiccano nei suoi ricordi Xavier (il bambino delle foto) e suo padre, in viaggio insieme al padre, mentre il resto della famiglia curda è rimasta a casa.
Xavier che si diverte con il solo gioco che possiede, campo profughi di Calais, gennaio 2022

Le due settimane in Francia sono state il primo viaggio dopo i due anni di pandemia di Coronavirus che, se da una parte hanno impedito al fotografo di viaggiare, non hanno certo fermato la sua creatività: «Nonostante il Covid-19 non mi sono fermato, mi sono concentrato su altro; ho fotografato il contesto anziché il soggetto umano come mio solito». Marangoni ha quindi immortalato paesaggi e città spoglie del soggetto umano, complici anche le restrizioni adottate negli ultimi due anni.
Quali sono i prossimi obiettivi? «Devo post-produrre il lavoro della Francia, vorrei distribuire alcune foto per mostrarle alle persone, affinché possano capire e vedere con i loro occhi come vivono i profughi, visto che ne sentiamo molto parlare».
Il tuo sogno? «Girare il mondo e fare reportage, l’ho capito quando ho intuito la potenza della fotografia. Posso aiutare a capire meglio le situazioni del mondo contemporaneo».
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