Niente figli, niente futuro

Per non diventare un paese per vecchi l'Italia deve mettere al centro la valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni

Economia varie

Ricostruire il coraggio di genitorialità dei giovani Siamo il secondo Paese al mondo che conta più vecchi, si vive di più e anche meglio, ma non c’è ricambio generazionale con un tasso di fecondità sempre più basso tanto da arrivare (e non da oggi) sotto la media di 1,5 figli per donna. In questa situazione si entra in una trappola demografica che mette a repentaglio i livelli attuali di benessere e di welfare. (Foto di Dim Hou da Pixabay)

Dai giovani dipende il futuro del nostro Paese e prima di tutto bisogna conoscerli e parlare con loro per capire come orientare politiche, servizi e progettualità. Guardiamo insieme ai dati da due fonti qualificate che ci aiutano ad aggiornare le coordinate con cui leggere i fenomeni in cambiamento.

LA RICERCA DELL’ISTITUTO TONIOLO
Ogni anno l’Istituto Giuseppe Toniolo promuove una grande indagine quantitativa sui giovani italiani, i cui dati confluiscono nel Rapporto Giovani, sui temi del lavoro, scuola, famiglia, partecipazione, valori, social network. L’edizione 2022 è appena stata pubblicata e indica alcuni dati molto interessanti. (La condizione giovanile in Italia. Rapporto giovani 2022).

CHI SIAMO: 9 mila giovani italiani
ETÀ: tra i 18 e i 34 anni
STATO CIVILE: il 67% vorrebbe formare una famiglia con figli entro i 30 anni PROFESSIONE: studente, lavoratore, disoccupato,
NEET INDIRIZZO: residenti sui social network
SEGNI PARTICOLARI: si parla di noi senza parlare con noi.

EFFETTO SCUOLA
Grazie alla scuola i giovani riconoscono di essere più capaci di relazionarsi con gli altri, adattarsi ai cambiamenti, sviluppare autonomia nel perseguimento degli obiettivi; tuttavia, secondo la loro esperienza e percezione, la scuola non favorisce lo sviluppo della leadership, la capacità di gestione dei conflitti, il pensiero positivo. Quindi c’è molto da lavorare.

I SOCIAL
La domanda “Quanto tempo stai al giorno su Facebook?” rivela che in media ci passano 1 ora e 15 minuti ogni giorno. Con una distribuzione però molto ampia tra chi non lo fa mai e chi invece “ci vive”. In dettaglio hanno risposto: mai l’8%, meno di un’ora 48%, da 1 a 3 ore 31% e più di 3 ore 12%. Non ci sono sostanziali differenze per profilo occupazionale: chi studia e chi lavora ha le stesse percentuali, con l’eccezione della quota di oltre 3 ore al giorno per i NEET che è del 17%, rispetto al 10% delle altre due categorie. Quindi bisogna incontrarli sui social ma non solo.

USCITA DI CASA
Per i giovani il passaggio alla vita adulta significa autonomia dai genitori e la formazione di una famiglia. Alla domanda “Qual è l’età giusta per lasciare la casa dei genitori?”, hanno risposto: tra i 20 e i 25 anni il 41%, tra i 25 e i 29 anni il 39%, solo il 7% oltre i 30 anni, anzi per il 13% anche prima dei 20 anni. La pensano così, senza nessuna differenza tra uomini e donne. Quindi bisogna dar loro la possibilità di una casa propria, molto presto.

MOBILITÀ PER LAVORO
Alla domanda “Siete disposti a trasferirvi all’estero per lavoro?”, i giovani italiani, francesi, tedeschi, inglesi e spagnoli hanno risposto così:

– No, non sono disposto: Regno Unito 32%, Germania 30%, Spagna 28%, Francia 26%, Italia 17%
– Sì, all’interno del mio Paese: Regno Unito 27%, Germania 37%, Spagna 27%, Francia 32%, Italia 22%
– Sì, anche all’estero: Regno Unito 41%, Germania 33%, Spagna 46%, Francia 42%, Italia 61%

I giovani italiani hanno la maggiore propensione alla mobilità per lavoro tra i loro coetanei dei maggior Paesi europei, in particolare verso l’estero con una quota che è quasi il doppio dei tedeschi. Siamo rimasti un popolo a vocazione emigrante, anche se ce lo dimentichiamo quando gli altri migrano da noi. Il dato non è un campanello d’allarme, ma una campana d’incendio in corso. Il dissanguante esodo in atto da tempo depaupera il nostro Paese delle persone più importanti per costruire il futuro. E se non si inverte la tendenza, l’alta predisposizione ad andarsene si trasformerà in un destino di declino e miseria, con un circolo vizioso in cui anche “tornare” diventa improponibile.

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LA RICERCA IPSOS
Delusione, rabbia, disincanto e indignazione silente sono le principali emozioni vissute dai Millenials e dalla Generazione Z del nostro Paese, legate al bisogno di una politica che torni a far sognare, che parli dei grandi temi, che alimenti l’idea di un futuro differente e migliore. Il 42% non sa chi votare, il 13% non è mai andato a votare da quando è diventato maggiorenne e il 7% annulla la scheda. L’86% è arrabbiato per le differenze sociali; il 78% ritiene partiti e politici distanti e disinteressati ai giovani; il 78% afferma che stiamo vivendo in un periodo di grandi ingiustizie e sfruttamento; il 72% è preoccupato per l’eccessivo potere delle multinazionali; il 71% pensa che tutti i politici siano disonesti; il 58% afferma di non fidarsi di nessuno; il 55% vede le banche come nemiche della gente; il 79% accusa gli imprenditori italiani di essere interessati solo ai profitti e poco alle persone; il 78% ritiene il nostro modello economico iniquo, modellato per avvantaggiare solo ricchi e potenti; l’82% ipotizza, per i prossimi anni, la crescita dello scontro tra popolo ed élite; il 31% ritiene necessari movimenti radicali e rivoluzionari per modificare lo status quo. Fonte: IPSOS.

Economia varie

Le aspettative dei giovani indicano gli ambiti di intervento sui quali orientare il dialogo e l’azione. Il 96% auspica un maggior impegno e sacrifici per tutelare l’ambiente e combattere i cambiamenti climatici; l’85% apprezza politici e movimenti in grado di costruire proposte dal basso e condivise; il 75% dei giovani vuole sentir parlare di solidarietà, mentre il 67% condanna qualunque atto o atteggiamento discriminatorio o razzista; per il 66% è ora di tornare a essere più europeisti. Le fratture sociali più avvertite, quelle che dovrebbero essere al centro del programma di un partito ideale, sono: il lavoro meno precario, l’onestà, l’ambiente e il ricambio generazionale nella politica.

IL PENSIERO DEGLI ESPERTI
Nel 2070 gli italiani saranno 47 milioni, 12 in meno della cifra attuale. E nemmeno i movimenti migratori riusciranno a colmare questo divario. La pandemia ha avuto un effetto negativo sulle nascite. A livello nazionale il numero di figli medio in cinque anni è passato da 1,37 a 1,27. Cosa serve all’Italia? Integrazione lavorativa e sociale, immigrazione, coraggio della politica, equilibrio demografico, previdenziale ed economico del Paese, sono sfide sulle quali le voci degli esperti sono chiare.

Alessandro Rosina, coordinatore scientifico del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, e ordinario di Demografia all’Università Cattolica illustra precisamente le dinamiche in corso e le possibili strategie per affrontarle. “Il mondo occidentale sta entrando in una sua nuova fase, quella dell’indebolimento della popolazione in età attiva. Alcuni Paesi come la Svezia e la Germania hanno saputo reagire, invece l’Italia non ha gestito questi squilibri. Da un lato l’immigrazione è un fattore rilevante per rispondere agli squilibri demografici, d’altro lato non possiamo pensare di attrarre immigrati senza sviluppo economico e integrazione lavorativa e sociale. Inoltre, sia lo sviluppo economico che l’integrazione rimangono deboli se non migliora anche l’occupazione giovanile e femminile”. Per invertire la rotta bisogna affrontare il tema abitativo tenendo conto di quanto guadagnano i giovani al primo impiego. Interconnessi a questo ci sono la questione dei trasporti e della riqualificazione dei quartieri che devono avere requisiti alti sotto il profilo ambientale, tecnologico e dell’efficienza energetica. “Tutti fattori che mettono le persone giovani, le nuove famiglie, nelle condizioni di poter pensare al futuro in chiave più ottimistica e quindi di avere anche un’ottica riproduttiva”.

In Italia ci sono 27 posti negli asili nido ogni 100 bambini tra 0 e 2 anni e l’età media al parto delle madri è ora di 32 anni. Il solo canone di locazione pesa il 22% sul reddito medio dei giovani in zona semi-centrale (dati Il Sole24Ore). Quindi al primo posto bisogna affrontare il tema dei servizi, a partire da quelli per l’infanzia, che devono essere ampliati e non ridotti, con attenzione alla flessibilità, ai costi, alle liste d’attesa.

Yuval Noah Harari ha rintracciato nel tema dell’ospitalità e dell’accoglienza dei migranti il banco di prova per il futuro dell’identità europea: “Se da un lato l’Europa è stata costruita sull’assunto di superare le differenze culturali tra Germania, Francia, Italia, dall’altro potrebbe collassare per l’incapacità di gestire le differenze culturali tra europei e migranti”. Gli immigrati sono più giovani e quindi fanno più figli, fanno il lavoro che gli italiani non vogliono fare e ci pagheranno le pensioni. L’immigrazione per essere una parte della soluzione richiede il superamento della bassissima integrazione vissuta finora: guadagnano in media il 38% in meno dei lavoratori italiani, vivono grazie al lavoro nero e la dispersione scolastica è altissima.

Un potenziale enorme su cui investire sono le donne lavoratrici e la formazione scolastica dei ragazzi. Fino ai 30 anni il tasso di occupazione femminile in Italia è simile a quello di Francia e Svezia. Ma quando le donne si assentano magari per fare un figlio non rientrano più o se tornano trovano posizioni lavorative precarie. La pandemia ha accentuato le disuguaglianze e ora più che mai è necessario un piano di politiche che mettano al centro la famiglia, per garantire alle donne le stesse opportunità lavorative degli uomini e ai maschi di occuparsi anche loro dei figli. Per quanto riguarda i ragazzi la scuola deve investire di più sulla formazione di tecnici di qualità e sulle nuove tecnologie, non sostituendole ma integrandole con le discipline umanistiche e linguistiche.

SINTESI
Per fare figli è essenziale credere in un futuro positivo. Incertezza nei confronti del futuro e condizioni oggettive del presente, sommate alla carenza di politiche pubbliche, sono elementi che condizionano la scelta dei giovani nel formare una famiglia e nel fermarsi a lavorare nel nostro Paese. Il 2021 è stato l’anno della progettazione della nuova fase di sviluppo del paese dopo l’impatto inedito e inatteso della pandemia. Il governo italiano ha steso il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) che contiene progetti ambiziosi, finanziati soprattutto attraverso le risorse di Next Generation Eu. Il 2022 segna, quindi, l’inizio di una nuova fase. Per dare basi solide al futuro l’Italia deve mettere al centro la valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni, un bene diventato sempre più scarso e investire su soluzioni sistemiche al declino demografico con una visione di sviluppo inclusivo e sostenibile sugli assi della transizione digitale e verde. Occorre una vera politica a sostegno della famiglia e un modello nuovo di accoglienza ed integrazione degli immigrati all’interno di un disegno complessivo che garantisca la tenuta sociale a lungo termine del Paese.

Le sfide sono complesse e vanno affrontate con lo sguardo verso l’orizzonte dello sviluppo sostenibile affinché i limiti di oggi non diventino la realtà di domani”, Marcella Mallen.

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Pubblicato il 03 Luglio 2022
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