Sulla frontiera si giocò il futuro democratico di Italia e Svizzera
"La linea sottile" (Donzelli editore) dello storico Francesco Scomazzon ricostruisce i rapporti contraddittori durante il Ventennio tra il regime fascista e la Confederazione. La presentazione si terrà mercoledì 30 novembre alle 18 alla biblioteca civica di Varese

Per gli abitanti della provincia di Varese, la frontiera con la Svizzera ha sempre avuto due significati. Da una parte è un’opportunità economica, non sempre lecita, dall’altra è una terra di transito, un corridoio verso il nord Europa.
I valichi, quelli ancora aperti e presidiati, sono ben visibili. Mentre lo è un pò meno la linea di confine che corre lungo il profilo nord della provincia a ridosso delle valli del Luinese e della Valceresio. A ricordarci che la nostra è una terra di frontiera, c’è quello che rimane della ramina, la rete metallica che divide il confine, e qualche cippo di pietra.
IL CONFINE NEL VENTENNIO
Durante la dittatura fascista e l’occupazione nazista, tra il 1925 e il 1945, quel confine era attraversato con una certa frequenza da un’umanità varia e trasversale per obiettivi e necessità:
contrabbandieri, passatori, militari, politici dissidenti e profughi ebrei, provenienti da tutta Europa. Un diaframma che in molti casi ha fatto la differenza tra la vita e la morte.
“La linea sottile”, il nuovo saggio dello storico Francesco Scomazzon, pubblicato da Donzelli editore, indaga sulla natura di quel confine e sui rapporti tra due stati, Italia e Svizzera, distanti politicamente come solo possono esserlo una dittatura fascista e una democrazia liberale.
In quegli anni la linea di confine con la Confederazione elvetica era estremamente porosa e i rapporti tra i due paesi caratterizzati da una spiccata ambiguità. «La Svizzera teneva i piedi in due scarpe – spiega Scomazzon – e questa posizione si rifletteva sia sulle politiche di gestione dei profughi, che passavano repentinamente dal rigore esasperato all’accoglienza aperta, sia sui rapporti che le autorità elvetiche avevano con il regime fascista».
UNO SNODO DI FRAGILI EQUILIBRI
Nel 1926 Mussolini istituisce la provincia di Varese. Un’area a ridosso del Canton Ticino, già patria adottiva di molti esuli risorgimentali. Terra di collusione per definizione che Scomazzon definisce così: «Il confine è uno snodo di fragili equilibri: linea sottile dove si intrecciano aiuto e profitto, assistenza e tradimento, salvezza e condanna».
In quegli anni, le spinte politiche interne alla Confederazione elvetica, soprattutto quelle che si rifanno alla tradizione socialista, guardano con favore all’assistenza e al tempo stesso all’antifascismo come punti imprescindibili nella gestione dei rapporti con i profughi italiani e spagnoli. Non mancano però le spinte opposte, anche estreme, che alimentano la propaganda fascista e nazionalsocialista. Una galassia formata da una quarantina di gruppi organizzati che si ispirano esplicitamente al nazismo.

La ricerca di Scomazzon evidenzia l’atteggiamento ondivago delle autorità elvetiche in tema di accoglienza. A partire dal 1933 iniziano ad arrivare sul confine i primi ebrei, perlopiù askenaziti, cioè provenienti dalla Germania. Sono circa 4000 in cerca di un rifugio temporaneo in Svizzera prima di ripartire per la Palestina.
Una presenza che si moltiplica nel giro di poco tempo, con l’entrata in vigore delle leggi razziali in Italia, l’annessione dell’Austria alla Germania e l’aggressione nazista ai paesi europei, a cominciare dalla Polonia.
LA LINEA DURA CON GLI EBREI
Dopo tre anni di guerra, in Svizzera ci sono quasi diecimila profughi e si moltiplicano le richieste di asilo. Berna rafforza i controlli, accoglie i militari, applicando la Convenzione dell’Aia, mantenendo però una linea molto dura con gli ebrei, intensificando i respingimenti soprattutto per i nuovi arrivi dalla Francia.
L’onda dei profughi italiani cresce a dismisura dopo l’Armistizio, mettendo a dura prova il Canton Ticino. «La barca è piena» e le politiche federali vacillano di fronte a numeri che sembrano incontrollabili: nel settembre del 1943 si contano 4.900 profughi e 22.500 militari. Alla fine della guerra si conteranno complessivamente 300mila rifugiati accolti, tra cui 100 mila militari, 21mila ebrei e 51mila civili.
Numeri che non cancellano la distanza tra l’autorità di Berna, fredda e calcolatrice nella gestione dei profughi, e la popolazione svizzera che, sulla fascia di confine, fece sentire la sua solidarietà antifascista e una reale vicinanza a chi era in cerca della salvezza.
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“La linea sottile” di Francesco Scomazzon sarà presentato mercoledì 30 novembre alle 18 alla Biblioteca civica di Varese.
“La linea sottile”: il fascismo, la Svizzera e la frontiera alla biblioteca Civica di Varese
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