In aula a Varese si difende: “Non ho violentato la figlia della mia compagna”

L’imputato per violenza sessuale su minore denunciata quattro anni fa parla in aula e nega ogni addebito raccontando uno spaccato terribile legato a conoscenze promiscue ed uso di sostanze 

tribunale varese

«Non l’ho mai toccata, né tantomeno costretta a subire abusi sessuali». Le risposte sono state nette, lapidarie, a fronte delle domande del difensore che ha interrogato in aula dinanzi al Collegio di Varese l’uomo fra i 30 e i 40 anni di origini sudamericane imputato per un reato gravissimo: violenza sessuale su minore.

Reato tanto più grave vista l’età della giovane al momento dei fatti, minore di 14 anni, e per via del legame che legava le due persone: la ragazzina che nel 2019 denunciò i fatti era la figlia dell’ex compagna dell’imputato che secondo l’accusa avrebbe approfittato dei momenti di assenza della donna (la madre della vittima) per abusare della bambina, che ha poi trovato il coraggio di parlare di quanto avveniva in quella casa prima al parroco di un paese della provincia di Varese, e poi ai carabinieri.

Una storia che se provata rappresenta uno spaccato terribile anche alla luce del fatto che vi sarebbero state minacce dell’imputato verso la stessa vittima di non dire nulla alla madre che in quel periodo era incinta: «Se parli faccio del male al bambino che porta in grembo».

Tutti particolari emersi nel corso dell’istruttoria, ma disconosciuti dall’imputato («non l’ho mai toccata ne violentata, al massimo stavamo sdraiati nel lettone tutti e tre, lei dalla parte di sua madre, a guardarci video o film») che ha raccontato la temperie che si viveva in quella casa: «Ho sentito telefonate piuttosto esplicite che la ragazzina aveva coi suoi amici, frasi che a quell’età non si possono dire».

Quali frasi? Complimenti spinti su parti intime della ragazza, allusioni sessuali e altri comportamenti giudicati dall’adulto che ascoltava nell’altra stanza come inappropriati. Inoltre – sempre secondo imputato ascoltato in aula – le «bombe» che la ragazza si faceva in compagnai degli amici.

Quali bombe? «Assumeva stupefacenti in compagnia degli amici e tornava a casa visibilmente provata dalle droghe assunte. Aveva molta paura della reazione della madre». C’erano anche altri particolari che non piacevano all’uomo, riguardo al comportamento della figlia della compagna (di cui non era al corrente dello stato di gravidanza), cioè il pc a disposizione della giovane «che era pieno di materiale pornografico».

Il processo procede verso le battute finali. La parte offesa si è costituita parte civile patrocinata all’avvocata Roberta Vegetti; la prossima udienza è prevista per i primi di aprile.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 01 Marzo 2023
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