Cunardo dice addio a Renzo Galli, ex deportato in Germania

La progressiva perdita della vista e dell’udito non ha inficiato la sua capacità di ricordare e di testimoniare nelle scuole l’assurda follia del nazifascismo. I funerali si sono tenuti questa mattina a Cunardo. Le parole del professor Emilio Rossi

generica

(A cura di Emilio Rossi)

Renzo Galli, classe 1924, ex deportato in Germania, ci ha lasciati. Aveva soltanto 19 anni quando il 19 agosto 1943 fu chiamato alle armi. Era stato assegnato alla caserma Passalacqua di Tortona, al 38° Fanteria, Divisione Ravenna, precedentemente decimata in Russia ed in Africa Settentrionale.

Poi venne il secco comunicato dell’8 settembre, nel quale si annunciava che il maresciallo Badoglio aveva firmato l’armistizio con gli alleati. Ora non rimaneva altro che attendere ordini superiori da ufficiali disorientati e frastornati dai messaggi contradditori piovuti da più parti. Ad infrangere ogni dubbio, la mattina del 9 settembre, i tedeschi circondarono la caserma con un imponente apparato di carri armati. I nuovi venuti radunarono sul piazzale interno i militari, più di tre mila secondo calcoli attendibili, e senza indugio chiesero un’esplicita dichiarazione di collaborazionismo con l’esercito tedesco. Pochissimi però si lasciarono adescare dalle loro lusinghe. Dopo tre o quattro giorni, tutti vennero caricati su un convoglio di carri bestiame, per essere deportati in Germania. Un viaggio da incubo che durò quattro o cinque giorni.

Finalmente il convoglio approdò nei pressi di Meppen, una cittadina a circa 20 km dal confine con i Paesi Bassi. Un paesaggio surreale, un’immensa pianura, costellata di baracche, sorvegliate da severe torrette sulle quali emergevano gli elmetti delle sentinelle. Bastò uno sguardo per rendersi conto di essere piombati in una novella babele dove si udivano le lingue più disparate. I prigionieri più numerosi erano i russi.

Nel giro di pochi giorni venne effettuata la prima selezione. Gli italiani vennero registrati e schedati in base alla loro professione. Intanto era nata la Repubblica Sociale Italiana con la pressante esigenza di ricostituire un esercito solido ed efficiente. Questa volta furono alcuni ufficiali, spalleggiati da due cappellani collaborazionisti, a sollecitare una risposta per un eventuale rientro in Italia. L’appello cadde però nel vuoto. Quei pochi che accettarono la proposta meditavano già in cuor loro una non improbabile diserzione. Il treno ripartì con destinazione Bonn, dove avvenne l’assegnazione definitiva ai vari campi di lavoro (arbeitskommandos). Renzo fu destinato alla fabbrica Dynamit di Troisdorf (Colonia).

Un lavoro duro e sfibrante: carico e scarico di sacchi di carbone, dinamite, cemento e qualche rara volta di patate. Successivamente, soprattutto negli ultimi mesi, i prigionieri vennero adibiti ai lavori di sgombero delle macerie dopo i bombardamenti da parte degli alleati, divenuti sempre più frequenti. Mentre i tedeschi disponevano di rifugi antiaerei, i prigionieri dovevano accontentarsi di acquattarsi in buche relativamente profonde, col pericolo di essere investiti dalle schegge delle bombe.

La vita nel campo era contrassegnata da un inflessibile rigore: sveglia alle 4/4,30. Chi osava indugiare sul pagliericcio veniva buttato fuori in malo modo a legnate. Dopo una breve permanenza ai servizi, al di fuori delle baracche, cominciava la conta. Meglio comunque non rimanere a letto, anche se indisposti. Un mattino, infatti, un prigioniero che non era stato in grado di alzarsi per recarsi al lavoro era stato prelevato e di lui non si era saputo più nulla. Inutili erano state le ricerche da parte della famiglia alla fine del conflitto. Si suppone pertanto che fosse stato trasferito in un campo di sterminio, passato per il gas e incenerito in un forno crematorio.

Il 4 maggio 1945 giunsero gli americani liberatori. Dopo una sommaria ricognizione, i prigionieri vennero trasportati nel campo di sterminio di Mauthausen e impiegati nel penoso lavoro del recupero delle salme e della riesumazione dei cadaveri sepolti in una fossa comune. Nel campo, rapidamente abbandonato dai nazisti, c’erano però ancora prigionieri in precarie condizioni di salute. Renzo ricorda un uomo, ridotto ad uno scheletro vivente, spirato nel momento in cui venne sollevato da terra per essere soccorso. Terminata questa triste missione, tutti gli italiani vennero riuniti in un campo e a gruppi furono fatti rientrare in patria.

Renzo era piuttosto malridotto: pesava circa 45 Kg ed in seguito cominciò ad avvertire forti dolori addominali che lo costrinsero a sottoporsi ad un intervento chirurgico di ulcera duodenale. Ora bisognava ricostruirsi una vita, trovare un lavoro. Dopo un periodo di due anni alle dipendenze del comune di Varese, Renzo percorse una brillante carriera presso il Banco Lariano, prima come cassiere, poi come responsabile del servizio titoli e borse.

Poi le nozze con la donna della sua vita la signora Maria Pia e una casa tra il verde a Cunardo dove Renzo ha concluso il suo itinerario terreno. Una longevità segnata da una progressiva perdita della vista e dell’udito che tuttavia non ha inficiato la sua capacità di ricordare e di testimoniare nelle scuole l’assurda follia di un regime criminale e liberticida.

I funerali di Renzo Galli si sono tenuti questa mattina a Cunardo.

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Pubblicato il 03 Agosto 2023
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