Mastini, parola di Glavic: “Amo la flessibilità, per la formazione non guardo i nomi sulla maglia”
Intervista al coach dei Mastini: "Abbiamo le carte in regola per sfidare le big. Pippo Matonti è già un grande portiere". Bocca chiusa su Vanetti: "Giocherà la prossima"

Coach Glavic, ha trovato qualcuno con cui giocare a tennis a Varese?
«Certo! Devo dire che Varese ha ottime strutture e buoni giocatori. Anche nella mia città natale c’è un campo da tennis vicino allo stadio del ghiaccio, esattamente come qui, questa cosa mi permette di praticare questo stupendo sport che amo».
Come prosegue la carriera di suo figlio Bor? Leggevamo di una chiamata Oltreoceano?
«L’ultimo anno è stato particolare, soprattutto per l’interesse registrato da alcune squadre verso di lui. Ho sempre pensato di non volerlo farlo andare lontano da me. Gli ho detto: “se ti impegni e lavori duro, puoi stare certo che qualcuno ti noterà”, e questo è accaduto lo scorso anno. Quest’anno con la sua nuova squadra ha registrato delle ottime statistiche, e quindi dopo natale ha ricevuto un’offerta dal Canada, dove attualmente si trova».
È arrivato in Italia senza conoscere nulla del campionato IHL, ora a distanza di mesi come lo giudica?
«L’Italia è vicina alla Slovenia, pertanto quando sono arrivato avevo già delle conoscenze del campionato italiano. Ho inoltre dei parenti che sono venuti dall’Italia in Slovenia, vivono e lavorano lì ma conoscono il movimento hockeistico italiano, e quindi mi hanno dato una idea di come si gioca qui in Italia. In particolare in IHL: prima di venire a Varese ho parlato a lungo con Matteo (Malfatti il D.S. dei Mastini n.d.r.), e con altre persone e quindi avevo un quadro abbastanza chiaro della situazione. Lo ritengo un campionato di buon livello, in costante crescita».
Lei sembra avere un talento particolare, la capacità di valorizzare i giovani, Denis Perino e Filippo Matonti sono passati dalla panchina dello scorso anno, anzi a volte dalla tribuna, in nazionale, la ritiene una sua caratteristica quella del far crescere i ragazzi?
«Non so se sia una mia caratteristica, ma certamente puntare sui giovani è uno dei miei obiettivi, questo perché credo che i giovani siano il futuro di ogni squadra e un allenatore ha l’obbligo morale di lavorare anche in questo senso. Come coach devo ammettere che quando punti su un giovane, e questo giovane grazie anche al tuo lavoro veste la maglia della nazionale, è una grande soddisfazione. Mi è capitato spesso di ricevere ringraziamenti per il lavoro svolto con i ragazzi, e questo mi soddisfa molto».
Eppure se avesse iniziato ad impostare il lavoro basendosi sulle statistiche, pratica piuttosto usuale nell’hockey, alcuni ragazzi anche oltre i due menzionati, non avrebbero trovato spazio sul ghiaccio.
«Credetemi, sarò atipico, ma io non guardo mai le statistiche. Non mi interessano, non è uno strumento che utilizzo: preferisco vivere nel presente, guardare i giocatori sul ghiaccio e farmi un’idea di come giocano, e di quale contributo potrebbero dare alla squadra, e spesso la cosa funziona».
A proposito di portieri, lei è stato un ottimo interprete del ruolo. Secondo lei gli ex goalies allenano in maniera diversa rispetto ai giocatori di movimento?
«Grazie per avermelo chiesto! Io credo di sì e posso dirE che molti portieri sono poi diventati grandi allenatori. Spiego perché: un portiere per tutta la vita vede una partita dalla sua prospettiva, e riesce a osservare tutto con un occhio esterno. Un attaccante per esempio non può farlo, perché è immerso nel gioco, e non può vedere niente oltre che quello che sta intorno a lui. Un difensore invece ha un atteggiamento più “calmo”, può notare di più certe cose e meno altre, mentre il portiere può e deve vedere ogni singolo dettaglio della partita, e questo per tutta la sua carriera. Ecco perché secondo me molti portieri diventano ottimi allenatori e bravi general manager, infatti sono addestrati fin da piccoli a vedere a 360 gradi. Forse sarò di parte ma credo che tutto questo abbia molto senso».
Lei adatta il suo gioco alla squadra che allena? Oppure lo impone chiedendo ai giocatori uniformarsi al suo pensiero? Ci descriva il suo metodo di lavoro.
«Ottima domanda. Ogni anno ti ritrovi ad allenare una squadra che è diversa dalla precedente, quello che faccio personalmente è adattare il mio stile da allenatore alle forze che ho sul ghiaccio. Questo è quello che sto facendo a Varese. Naturalmente tutto questo assieme al lavoro di creazione di un’identità che possa fare la differenza sul ghiaccio, lavorando a diversi livelli. Questo processo, se ben strutturato, non è così immediato nella sua implementazione e credo si sia notato; la squadra è cambiata molto nel corso dei mesi. Un’altra caratteristica è il lavoro costante per avere più opzioni disponibili durante una partita, adattando il nostro gioco alle esigenze che si creano in maniera dinamica. Quest’ultima cosa è un elemento importante soprattutto nei top match, in cui devi essere pronto a ruotare giocatori e situazioni di gioco molto velocemente. Ci sono 20 giocatori, quindi 20 cervelli e 20 diverse modalità di pensiero, il che rende tutto molto difficile, ma l’obiettivo rimane quello di avere uno stile, il Mastini Style, che per me in estrema sintesi significa valorizzare le capacità dei giocatori a disposizione e adattarsi alle situazioni».
Come giudica il power play dei Mastini?
«Sono soddisfatto di come la squadra interpreta la superiorità numerica: nelle ultime partite abbiamo sempre segnato almeno una volta con l’uomo in più di movimento. Anche in questo caso ci adattiamo, provando a modificare in maniera dinamica il power play a seconda dello stile dell’avversario. Se la domanda è “usate uno schema fisso in superiorità numerica disponendo gli uomini sul ghiaccio in un certo modo”, la risposta è “no”, non usiamo mai uno schema fisso come altre squadre. Torniamo al discorso di prima: adattiamo il nostro gioco perché bisogna essere flessibili, anche in superiorità numerica, perché dipende dallo stile dell’avversario e dei giocatori a nostra disposizione in quel preciso istante».
Ora arriva la fase calda, finali di coppa e fase finale di IHL. Il ricchissimo Aosta sembra il super favorito, Caldaro è un’ottima corazzata e attenzione al Feltre. Quante possibilità a Varese di fare bene nelle due competizioni, e quale può essere la strategia vincente?
«Bisogna ammettere che le squadre che nominate sono sicuramente le favorite, ma il nostro compito è fare del nostro meglio e stravolgere il pronostico. Uno dei nostri obiettivi a inizio stagione è stato raggiunto (final four Coppa Italia n.d.r.), ora con l’ingresso ai playoff abbiamo raggiunto il secondo, e pertanto abbiamo il tempo di provare nuove soluzioni prima dell’inizio delle finals di coppa Italia e dei playoff. Naturalmente stiamo lavorando duro per dare il massimo nei prossimi incontri, sempre tenendo in conto del doppio impegno, entrambi obiettivi molto più importanti di una singola vittoria. Quindi si continuerà a perfezionare il nostro stile, con altre soluzioni che continueremo a provare. Servono nuove soluzioni, nuove idee per confrontarci al meglio con le favorite, che magari hanno dei giocatori più forti sulla carta è vero, ma Varese ha tutti i numeri per provare a superarli, certamente la grinta che ai Mastini non manca, ma anche nuove strategie ed un pizzico di fantasia».
Rocco Perla ha lasciato Varese e come sa, è un vero e proprio giocatore simbolo dei tifosi gialloneri, quanto è stato difficile prendere la decisione di alternare lui a Matonti tra i pali? Inserire il giovanissimo Matonti al posto di chi ha fatto alzare due trofei importanti due stagioni fa ha generato qualche problema?
«Certo non è stata una decisione semplice, e sicuramente un contraccolpo c’è stato anche tra i ragazzi in spogliatoio almeno all’inizio, ma come ho detto prima io sono qui per mettere in campo la migliore squadra per Varese in ogni partita. Filippo Matonti ha sempre fatto bene contribuendo alla vittoria della squadra con statistiche incredibilmente positive. Quindi direi che la fiducia che gli è stata concessa è stata totalmente ripagata. E questo è sotto gli occhi di tutti».
A proposito di Filippo Matonti, da ex-portiere questa volta, come vede il suo futuro?
«Filippo Matonti è un grande portiere, tra i migliori in Italia secondo me. Ha solo 17 anni ma ha già un carattere ed una personalità importanti. Grazie a questa base e altre caratteristiche potrà fare davvero bene se continua a lavorare come sa fare, questo è fondamentale. Tornando alla scelta di schierarlo io non guardo mai il nome scritto dietro la maglia: se penso che sia la miglior soluzione per vincere, quella persona va sul ghiaccio. Tutto il resto non conta, purtroppo ho capito che non tutti a Varese comprendono questa cosa, e non capisco perché».
Abbiamo visto nell’ultima partita Vanetti in tribuna, come mai questa scelta? Quando tornerà sul ghiaccio?
«Vanetti (sorride ndr) è andato a correre la maratona di New York e pertanto doveva riposare. Tornerà sul ghiaccio dalla prossima partita».
Starà qui anche l’anno prossimo in considerazione del fatto che abbiamo ottimi campi da tennis?
«Come dire di no, il Varese Tennis Club è veramente un bel posto con tanta bella gente. Quindi credo proprio che rimarrò a Varese anche l’anno prossimo».
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