Caporalato nell’alta moda: azienda sotto amministrazione giudiziaria per sfruttamento lavorativo
Una nota maison milanese affidava la produzione ad aziende terze che impiegavano manodopera irregolare e clandestina in condizioni gravi di sfruttamento
Un’importante azienda del settore dell’alta moda è finita sotto amministrazione giudiziaria con un provvedimento del Tribunale di Milano, su richiesta della Procura. Il motivo: non avrebbe adottato controlli adeguati per prevenire fenomeni di sfruttamento nel proprio ciclo produttivo, favorendo così, seppure in modo colposo, un sistema di caporalato.
Secondo quanto emerso dalle indagini dei Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano, la maison milanese, tramite una società controllata, affidava l’intera produzione di una parte delle proprie collezioni – in particolare borse e accessori – ad aziende terze. Queste ultime, gestite da cittadini cinesi, si avvalevano a loro volta di subappalti non autorizzati, ricorrendo sistematicamente a manodopera irregolare e clandestina, in condizioni di sfruttamento.
La casa di moda si occupava solo della prototipazione dei prodotti, mentre l’effettiva realizzazione su larga scala era completamente esternalizzata. Questo sistema consentiva una drastica riduzione dei costi di produzione, anche grazie al mancato rispetto delle norme su contributi, assicurazioni, tasse, sicurezza sul lavoro e contratti collettivi nazionali.
Nel corso delle indagini, avviate a marzo 2024, sono stati controllati sette opifici nelle province di Milano e Monza e Brianza. Tutti sono risultati irregolari. Su 67 lavoratori identificati, 9 erano “in nero”, di cui 3 privi di permesso di soggiorno. Le condizioni di lavoro rilevate erano al limite della dignità: salari bassissimi, orari massacranti, ambienti insalubri e gravi violazioni delle norme sulla sicurezza. Alcuni lavoratori vivevano in dormitori abusivi in condizioni igieniche precarie.
Oltre agli opifici, i militari hanno scoperto anche tre società “ombra”, create solo formalmente per emettere fatture fittizie e ostacolare i controlli. In totale, sette titolari di aziende – tutti di origine cinese – sono stati denunciati per caporalato, insieme a tre persone irregolari sul territorio italiano. Le sanzioni comminate ammontano a 286.000 euro in ammende e 35.000 euro in sanzioni amministrative.
È importante sottolineare che il procedimento penale è ancora nella fase delle indagini preliminari e che eventuali responsabilità saranno accertate solo in caso di sentenza definitiva.
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