L’anello della pace: un giorno a piedi intorno al Lago di Varese (cronaca di un’umanità in cammino)
Un giro sula ciclabile in una qualsiasi domenica mattina e si scopre il vero genius loci del Lago di Varese: “Un’umanità varia, pacifica, che si incontra senza bisogno di dire nulla", racconta Giuseppe Geneletti, che cita Kant
 
																			
                        
						
						
						
						Sono partito da casa mia a Lomnago alle 7:30, con l’idea di fare il giro completo del lago a piedi. Ventisette chilometri di pensieri, respiri, incontri.
Ma stavolta, più che camminare, ho voluto fare il cronista: ho registrato tutte le persone che ho incrociato, proprio tutte, in oltre 200 annotazioni. E mi si è aperto davanti un romanzo vivente, capitolo dopo capitolo. Il lago è proprio uno specchio. Sul percorso ho incontrato una coppia di ottantenni, lui con i bastoncini, lei dietro le mani intrecciate: camminavano lenti, un corpo solo. Poi ho visto una donna elegantissima, avrà avuto 45 anni, occhiali scuri con sfumatura blu, capelli perfetti, camminava a testa bassa, melanconica. Ho salutato un runner trentenne, magrissimo, baffetti, non vestito da atleta, sembrava un nerd catapultato lì dal suo PC.
Poco più avanti, un pugile nero, alto, fisico da roccia, barba folta, che mi ha guardato e ha sorriso: non un terrorista, come scherzava la mia fantasia prevenuta, solo un uomo felice. Ho visto famiglie intere, con figli adottivi “perle nere”, mamme che guidavano tandem con bimbe speciali, padri che raccontavano storie mentre tiravano il guinzaglio di un cane lento. E poi, a Gavirate, mi sono imbattuto in una squadra intera di canottieri australiani, fisici scolpiti come bronzi di Riace, che passeggiavano rilassati dopo l’allenamento, portando il loro accento lontano sul lago.
Ho contato almeno 30 cani, tra bassotti imperiosi e golden tosati, e decine di ciclisti: professionisti con le borracce aerodinamiche, pensionati con la pedalata assistita, gruppetti di amici che si raccontavano le scalate fatte trent’anni fa. E poi coppie gay con due cagnetti, donne dell’est che si lamentavano a gesti, bodybuilder cinquantenni che arrivavano prima con i muscoli e poi col saluto. Un signore settantenne diceva il rosario con la corona in mano. Un altro, sempre settantenne, cantava da solo a voce alta. Ho incrociato un uomo con scarpe di cuoio invernali lucidissime, pantaloni beige, cravatta e tablet sulle ginocchia, sembrava un predicatore. E una coppia di quarantenni che passeggiava sotto l’ombrello, lei incinta, il passo già più lento, più cauto, più futuro.
Il lago è come un anello della pace. Oggi ho visto circa 300 persone: ognuno portava su quel nastro di asfalto la propria piccola storia. Alcuni correvano guardandosi le scarpe, altri salutavano larghi, qualcuno parlava al telefono con la famiglia al mare, altri controllavano ossessivi il cardiofrequenzimetro. Ma tutti, indistintamente, si muovevano insieme: un’umanità varia, pacifica, che si incontra senza bisogno di dire nulla.
Questo è il vero genius loci del Lago di Varese: qui contano solo il fiato, la voglia di avanzare, il ritmo lento o veloce che ognuno si sceglie.
È un posto che accoglie tutto e tutti, un anello della pace, dove ci si sente protetti e un po’ sospesi, come in una parentesi. La domanda più grande, alla fine, mentre torno verso casa con una piccola vescica sul tallone e la pelle arrossata, è ma io perché ero lì stamattina? La risposta è semplice e gigantesca insieme: perché la ciclabile del Lago di Varese è un posto tranquillo, di un magnetismo pacifico, che accoglie e sorprende, braccia aperte, da tutti i punti di vista e sotto tutte le età. È come la vita, che ci fa incontrare personaggi diversissimi lungo il cammino, ognuno con i suoi silenzi, i suoi cani, le sue smorfie, i suoi sorrisi improvvisi, e ci lascia sempre con la stessa domanda: chi sono, dove vanno, come stanno? E in fondo: io, dove sto andando davvero? Forse lo sanno i falchi che volteggiavano sopra di me a Cazzago e guardavano giù.
“Ospitalità significa il diritto di uno straniero, che arriva sul territorio altrui, di non essere trattato ostilmente”, Immanuel Kant.
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