Locarno 2025: il cinema che resiste (e rilancia)
Al via la 78a edizione di una rassegna che «non ha paura di rallentare». Con una presenza italiana sottovoce ma capace di lasciare il segno

Il Locarno Film Festival si prepara ad alzare il sipario fra pochissimi giorni, il 6 agosto per la sua 78esima edizione. In attesa che Piazza Grande torni ad illuminarsi sotto le stelle, la città si anima tra attese, allestimenti e primi arrivi da tutto il mondo.
Locarno non è solo un festival: è una promessa di cinema libero, di incontri inaspettati e soprattutto di storie che meritano ascolto.
In un periodo storico in cui l’attenzione sembra sempre più breve e le storie sempre più strette negli algoritmi, Locarno resta una finestra aperta. Sulle montagne, sull’autore, sulla libertà del linguaggio cinematografico. L’edizione 2025 del Locarno Film Festival non ha paura di rallentare, di mostrare film che chiedono tempo, sguardo, partecipazione. E forse è proprio questo il suo gesto più radicale. In questa geografia di visioni, il cinema italiano occupa una posizione fatta più di sguardi che di proclami, più di intensità che di quantità. È una presenza non chiassosa, ma radicata.
Sfumature italiane: film che raccontano un Paese in trasformazione
“Le Bambine (Mosquitoes)” delle sorelle Valentina e Nicole Bertani, in concorso internazionale, ci conduce nella provincia italiana con uno sguardo delicato ma mai ingenuo. Linda ha otto anni, ma quello che la circonda e che intuisce con lo sguardo dei bambini, è un mondo che scricchiola sotto la superficie: famiglie fragili, estate che brucia, piccoli traumi che crescono.
“Sorella di Clausura” di Ivana Mladenović (coproduzione italo-balcanica) è invece un atto di libertà formale. Il film prende una figura religiosa e la trasforma in oggetto di culto pop. Un’opera che mescola sacro e profano con disinvoltura, come solo certi registi dell’Europa dell’Est sanno fare. L’Italia, in questo caso, entra in coproduzione ma anche nella sostanza del racconto.
Piazza Grande: un western italiano al tramonto
Ma il film italiano più atteso, e certamente il più visibile, in tutti i sensi, è “Heads or Tails? (Testa o Croce?)” di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, che sarà presentato in Piazza Grande.
Ambientato nel 1906, nel pieno del passaggio in Italia del Buffalo Bill Wild West Show, il film mescola il mito americano del West con la teatralità rurale italiana. Un western atipico, ironico, teatrale, dove i protagonisti sono contadini, attori, ciarlatani, santi e illusionisti.
In “Heads or Tails?”, l’Italia non gioca a imitare l’America, ma si riappropria del mito per riscriverlo a modo suo, tra il grottesco e la poesia.
Sguardi nuovi: i cineasti del presente
Nel concorso “Cineasti del Presente”, dedicato alle opere prime e seconde, due film italiani si fanno notare:
– “Sweetheart (Gioia mia)” di Margherita Spampinato, ambientato in Sicilia, affronta il tema dell’identità familiare e religiosa attraverso lo sguardo disilluso di un bambino. È una storia semplice ma profondamente stratificata: la fede, il corpo, la tecnologia, la madre.
– “Don’t Let the Sun” di Jacqueline Zünd è un viaggio malinconico e rarefatto in un mondo (forse) post-apocalittico. Tra Italia e Svizzera, è un racconto sull’amore, sull’oblio e sulla luce che ancora filtra, anche quando tutto sembra finito.
In breve: l’Italia a Locarno è sottovoce, ma lascia il segno
Non è un’edizione “tricolore” in senso tradizionale, ma il cinema italiano c’è. Respira nelle storie minime, nei paesaggi conosciuti e deformati, nella lingua che si fa dialetto, preghiera o canzone pop. E forse è proprio Locarno il posto migliore per cogliere queste sfumature: lontano dal rumore dei grandi festival, più vicino alla sostanza.
L’Italia che si affaccia a Locarno è un’Italia che osserva, che prova, che osa senza gridare. E come sempre, sarà il pubblico a decretare se queste storie — silenziose, ironiche, stralunate — resteranno anche dopo che le luci della Piazza si saranno spente.
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