Latte crudo, il futuro di un patrimonio fragile

Controlli sanitari, normative ministeriali e rischi microbiologici. Ma anche identità territoriale, sostenibilità e “biodiversità invisibile”. Il latte crudo resta al centro di un confronto che intreccia scienza, cultura alimentare e filiere locali

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Dietro a un bicchiere di latte crudo o a una forma di formaggio non pastorizzato non ci sono soltanto aromi e sapori. Ci sono pascoli alpini e prati stabili, casari che lavorano all’alba, veterinari che controllano, consumatori che chiedono garanzie. Un intreccio che fa del latte crudo al tempo stesso patrimonio culturale ed elemento delicato per la sanità pubblica.

Se ne è discusso anche a Materia Spazio Libero di Castronno, in un incontro promosso da Slow Food provincia di Varese. Ma la questione va ben oltre una singola serata: riguarda l’intero futuro di un prodotto che per alcuni è simbolo di autenticità e biodiversità e per altri una criticità da governare con regole più severe.

Il quadro sanitario e l’approccio One Health

Produrre latte crudo non significa ripetere gesti antichi, ma rispettare procedure rigorose e adattarsi a normative sempre più dettagliate. In Lombardia esiste da anni un piano regionale di controllo sugli alpeggi, che prevede campionamenti, ispezioni e monitoraggi delle condizioni igieniche di mungitura e trasformazione. Come ha spiegato la dott.ssa Anna Campagnoli (ATS Insubria):«Molto spesso si pensa agli alpeggi come a una romantica sequela di atti antichi e ripetitivi. In realtà il sistema ha oggi un significato fondamentale anche dal punto di vista economico e ambientale». Il riferimento è all’approccio One Health, che integra salute animale, ambiente e sicurezza alimentare. Un paradigma ormai adottato a livello europeo.

Secondo l’ultimo rapporto EFSA/ECDC, in Europa le zoonosi più notificate restano campylobacteriosi e salmonellosi. Le infezioni da E. coli produttori di Shigatossina (STEC) sono numericamente inferiori ma particolarmente critiche nei bambini piccoli. In Italia, il Registro nazionale SEU ha segnalato 61 casi tra aprile 2024 e marzo 2025, oltre il 96% in età pediatrica.

Le Linee guida ministeriali 2025

Nel luglio 2025 il Ministero della Salute ha pubblicato le nuove Linee guida sul latte non pastorizzato, che rafforzano i controlli per gli operatori, introducono raccomandazioni terminologiche e impongono cartellonistica informativa per avvisare le categorie più sensibili (bambini piccoli, anziani, donne in gravidanza, persone immunodepresse). Si tratta di misure necessarie dal punto di vista sanitario, ma onerose per le aziende. Lo ha fatto notare il tecnologo Giampaolo Gaiarin, di Slow Food Italia:«Parliamo di decine di migliaia di euro in analisi – l’equivalente di assumere un dipendente in laboratorio». Un peso che rischia di gravare soprattutto sui piccoli caseifici d’alpeggio.

Differenze tra crudo e pastorizzato

Al cuore del dibattito c’è la differenza tra latte crudo e latte pastorizzato. Il primo conserva enzimi, proteine e flora microbica naturale che contribuiscono a sviluppare aromi unici nei formaggi. Il secondo garantisce maggiore sicurezza di processo, ma standardizza il prodotto. «Un formaggio a latte pastorizzato è sempre uguale, ma perde identità, territorio e sostenibilità» ha sottolineato ancora Gaiarin, ricordando anche il maggiore impatto energetico della termizzazione in alpeggio.

Il punto di vista dei produttori

Per i produttori locali il latte crudo è molto più che una scelta tecnica: è identità e responsabilità. Mattia Crivelli, presidente del Consorzio della Formaggella del Luinese DOP, lo ha espresso così: «Abbiamo investito tempo, risorse e competenze per garantire igiene e qualità. Oggi sembriamo criminali, ma il nostro prodotto è frutto di professionalità e responsabilità». La filiera del latte crudo, osservano i casari, non è immobile: ha saputo adattarsi, formarsi e integrare pratiche igieniche moderne. Il timore è che regole troppo uniformi cancellino diversità e specificità.

Biodiversità invisibile e co-produttori

Il latte crudo custodisce una biodiversità invisibile: microrganismi autoctoni che determinano fermentazioni spontanee, aromi irripetibili e differenze stagionali.
Ridurre il microbiota con trattamenti o disinfettanti eccessivi significa non solo impoverire il gusto, ma anche rendere i formaggi più vulnerabili agli stessi patogeni che si vogliono combattere.

Come ha spiegato Marco Imperiali di ONAF (organizzazione nazionale degli assaggiatori di formaggi): «Il casaro è prima di tutto un allevatore di batteri. Se il latte diventa povero di flora, i patogeni hanno campo libero. Difendere la biodiversità microbica significa anche difendere la sicurezza».

In questa prospettiva Slow Food invita i consumatori a sentirsi “co-produttori”: non semplici acquirenti, ma soggetti consapevoli, capaci di visitare stalle e caseifici, distinguere un prodotto ben fatto e partecipare alla responsabilità collettiva della sicurezza alimentare.

Il tema è stato sottolineato anche in ambito scientifico, nei rapporti EFSA/ECDC e nelle ricerche divulgate da Cheese.

Conoscenza e trasparenza per il futuro

Il latte crudo resta un patrimonio culturale ed economico delle aree montane e collinari. La sfida è tenere insieme sicurezza e qualità, due lati della stessa medaglia. Da un lato, procedure igieniche rigorose in stalla e caseificio, raffreddamento rapido del latte, corretta acidificazione e tracciabilità. Dall’altro, la libertà di custodire la diversità territoriale e i saperi dei casari. Il futuro di questo patrimonio fragile dipenderà dalla capacità di coniugare rigore scientifico, sapere artigiano e corretta informazione ai consumatori.

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Pubblicato il 08 Settembre 2025
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