Il potere e la misura

Da Cesare Corti al valvolaio, dal Papa a una collega HR: 
riflessioni su chi esercita il potere senza ostentarlo, con pazienza, cura e responsabilità (di Giuseppe Geneletti)

Generico 06 Oct 2025

Nei giorni scorsi è scomparso Cesare Corti, imprenditore e filantropo, uomo di sport e di discrezione.
Ne ho parlato a lungo con una persona a lui cara, una sua amica di tutta la vita, che lo conobbe ai tempi dell’università. Erano gli anni Cinquanta, pochi partivano da Varese per studiare a Milano. Si ritrovavano sullo stesso treno, una carrozza piena di speranze, tra cui i giocatori della Robur et Fides, Bruno Lauzi, e Cesare era uno di loro. Poi, con gli anni, è diventato un imprenditore di successo, ma ha continuato a esercitare il suo potere in silenzio: sostenendo lo sport, restaurando il Battistero di San Vittore, aiutando la città senza mai metterci il nome davanti. Il suo è stato un potere mite, radicato, misurato: intelligente. Un potere che costruisce e poi si fa da parte.

Forse da qui, da Varese e dalla sua storia, possiamo tornare a chiederci che cosa sia davvero il potere, oggi. Non quello che si impone, ma quello che regge, accompagna, custodisce. Quello che non si misura in voti o in titoli, ma in gesti, in attenzioni, in tempo. Ecco alcune “stanze” utili per dipanare la matassa.

Stanza 1. Una collega, dall’apparenza innocua e dalla tempra di una rivoluzionaria, riflettendo su un documento che immaginava i ruoli del futuro in azienda, mi ha scritto: “Il 2030 è dietro l’angolo, e saremo ancora noi, con le nostre paure e le nostre abitudini, a viverlo. Forse come lo descrivi tu sarà nel 2040, o nel 2050” perché ci vuole tempo ad abituarsi allo SPID e a fidarsi di Google Maps”. Poi ha aggiunto una domanda semplice e luminosa: “Quando ammetteremo che va bene lavorare quando stiamo bene, e che la collaborazione può essere reale anche da uno schermo?”
Lì ho capito che il primo potere di cui abbiamo bisogno è quello di accettare il tempo umano del cambiamento. Il potere della pazienza. Il potere del limite. Già Socrate ricordava che il sapere autentico nasce dal riconoscere la propria ignoranza; forse anche il potere autentico nasce dal riconoscere la propria fragilità.

Stanza 2. Un giorno ho pranzato con Roberto, un valvolaio (monta ad arte complessi sistemi di riempimento, che banalmente chiamiamo valvole). Mi ha raccontato che in vent’anni tutto è cambiato: la qualità, la sicurezza, la collaborazione. Eppure, ha detto sorridendo, ci vuole ancora pazienza. Perché solo l’esperienza insegna come risolvere i problemi più complessi.
Ho pensato che quel tipo di potere, il potere di chi fa funzionare le cose, ogni giorno, in silenzio, è la vera forza che regge il mondo. Un potere invisibile, come le valvole che regolano la pressione senza mai comparire nelle fotografie delle fiere. Forse la misura del potere è proprio questa: sapere che c’è, ma non deve vedersi. Machiavelli avrebbe parlato di virtù, non nel senso morale, ma come capacità di leggere il tempo e agire con misura dentro di esso.

Stanza 3. Questa settimana mi hanno dato una stanza diversa dalla solita al bed&breakfast. Più grande, più luminosa, più attrezzata. Eppure, mi manca quella vecchia. Un piano in più, un soffitto inclinato, una finestra più piccola, una luce più dura. Ogni cambiamento, anche piccolo, sposta il centro di gravità del nostro sguardo [nota a margine: “regard”, dal francese “re-garder”: guardare di nuovo, con attenzione e cura; forse è questo il primo atto del potere buono].
Questa esperienza mi ricorda che anche quando un cambiamento è “per il meglio”,
c’è sempre un piccolo costo di “transizione”: la fatica di adattarsi, la perdita dell’abitudine, il bisogno di reimparare ciò che era diventato naturale. È lo stesso nelle scuole, nelle associazioni e nelle organizzazioni. Ogni miglioramento, un nuovo sistema, un nuovo processo, un nuovo ruolo, perfino un nuovo ufficio, nasconde una transizione, e ogni transizione ha un prezzo. Il vero successo del cambiamento non sta nello stato finale, ma nella cura che mettiamo mentre le persone salgono quel piano di scale in più. In questo caso, il potere, è anche questo: la capacità di accompagnare gli altri nel cambiamento, senza dimenticare che ogni passo avanti comporta una piccola perdita da colmare con attenzione e rispetto. Simone Weil avrebbe detto che “l’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità”.

Stanza 4. Mentre alcuni poteri si esercitano nella cura, altri si misurano nel linguaggio. Nei giorni scorsi il nuovo Papa, Leone XIV, ha parlato ai giornalisti e ha condannato il “clickbait” come una pratica degradante. Ha detto che la comunicazione deve essere liberata dalla competizione sleale e dal sensazionalismo, perché informare è un atto di responsabilità, non di seduzione. “Non svendete mai la vostra autorità,” ha ammonito.
È un altro modo di dire che la parola è potere, e che usarla bene significa restituirla alla verità, non al rumore. Hannah Arendt ricordava che il potere nasce solo quando le persone agiscono insieme e si mantengono in relazione: la parola, se onesta, crea spazio comune; se manipolata, lo distrugge.
La misura, anche qui, è tutto: la parola deve illuminare, non abbagliare.

Stanza 5. Dall’altra parte del mondo, invece, un altro tipo di potere domina la scena. “Quando Trump decide di fare qualcosa, è come un colosso”, commenta la stampa internazionale in questi giorni. Un potere che travolge, che si crede inevitabile, che misura il successo in applausi e velocità. È il potere della forza, del protagonismo, della visibilità. Eppure, proprio mentre il mondo si piega al suo passo, da qualche parte qualcuno resta a regolare la pressione, a impedire che tutto esploda. Forse il futuro non sarà dei colossi, ma dei valvolai.
Foucault ci ha insegnato che il potere non è solo nelle mani di chi comanda, ma si diffonde in mille microgesti, nei comportamenti quotidiani, nelle relazioni. In questo senso, chi regola una valvola o accompagna una persona in una transizione esercita già una forma di potere, forse la più necessaria.

Stanza 6. Poi c’è il potere della cura, quello più vicino alla vita di tutti i giorni. Un’esperta di cultura del lavoro ha scritto recentemente: “La vera missione delle Risorse Umane va ben oltre l’amministrazione e le politiche. Al centro del nostro lavoro c’è l’armonia sociale e la creazione di ambienti in cui il benessere è il fondamento della performance. Questo significa anche dire con fermezza che i comportamenti tossici non hanno posto in un’organizzazione sana.”
È la forma più discreta e più necessaria di potere: quella che custodisce la relazione. Dire “no” a ciò che ferisce, proteggere lo spazio della fiducia, mantenere viva la dignità. È un potere che non si esibisce, ma tiene in vita. È il potere di chi si prende cura degli altri, non di chi impone la propria volontà.

Stanza 7. E, infine, c’è la voce dei cittadini. Qualche giorno fa, Alberto Morandi ha scritto a questo giornale una lettera che ricordava a tutti noi che il potere democratico è quello che sa autolimitarsi. Che la libertà vive solo dove il potere è controllato, condiviso, sottoposto alla legge. Che il potere, senza misura, diventa abuso. Come scriveva Montesquieu: “Il potere politico e l’ordine giudiziario devono mettere i cittadini al riparo da qualunque prevaricazione.”
È la stessa logica della valvola: regolare la pressione per non rompere il sistema. Solo che qui la valvola è la Costituzione. Ed è grazie a questo equilibrio che un Paese resta vivo, come una macchina che respira grazie ai suoi ingranaggi nascosti.
Il potere, forse, non è di chi spinge più forte, ma di chi regola. Non di chi urla, ma di chi ascolta. Non di chi domina, ma di chi custodisce. Il potere buono non teme il limite: lo riconosce come condizione della vita. È il potere di chi costruisce, di chi accompagna, di chi parla con verità, di chi serve con discrezione. È il potere della pazienza e della misura. È un potere rosa (non di genere, ma di stile: quello che sceglie la tenerezza come forma di forza).
E allora, tornando a Cesare Corti, al valvolaio, al Papa, alla collega, al cittadino, forse il segreto è tutto qui: nel tenere la giusta pressione perché il mondo non si rompa. Perché ogni cambiamento, personale o collettivo, non esploda, ma respiri. Chi sa di non avere potere, può usarlo bene.
Forse il potere, alla fine, è solo questo: essere porta.
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ESSERE PORTA
Porta,
è varco, soglia,
non muro, non mare,
cerniera tra mondi
che si sfiorano
senza conoscersi.
Chi sta sulla porta
dov’è?
Non è dentro,
non è fuori.
È vertigine che respira.
È lampo che decide:
se nascere o tornare indietro.
Portare,
azione di peso:
è rispetto,
è dono,
è tenere in braccio il dolore
senza lasciarlo cadere.
Porto,
porta d’acqua e di pietra,
confine che abbraccia
e cheta.
Navi travagliate,
tempeste bestemmiate,
pregando che lei sia ancora lì.
Sopportare,
restare,
quando tutto spinge via.
Essere colonna
quando il peso trabocca,
pazienza nella forma
della fame e della seta.
Porti te stessa
come un segreto luminoso.
Identità che cammina,
fiducia che non chiede scusa,
bellezza che non deve passare
da nessuna porta
per essere accolta.
Porta.
Sempre lei.
Sempre soglia.
La trovi ovunque
ti sia chiesto
di scegliere.
E ogni volta
ti porti dietro
una ruga,
nuova e vera.

Redazione VareseNews
redazione@varesenews.it

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Pubblicato il 11 Ottobre 2025
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