La Tre Valli, le scuole chiuse e qualche alternativa intelligente
di Guido P. Rubino

A Varese, quando c’è la Tre Valli, chiudono le scuole. Parlo di Varese perché abito qui e con due figlie vivo la cosa da dentro. Se i grandi possono felicemente sciamare nei parchi, i più piccoli mettono in crisi le famiglie che non sanno a chi mollarli per un giorno di libertà asincrono. Si finisce col parlare male della Tre Valli Varesine che – nel caso ancora qualcuno non lo sapesse – si corre di martedì perché non è World Tour. I varesini, a scanso di equivoci, hanno potuto lamentarsi anche della versione amatoriale del weekend.
Il punto non è questo. È che chiudono le scuole perché non sanno come fare arrivare i bambini più o meno cresciuti fino ai banchi e, semplicemente, non ci sono attività alternative.
Quali? Andare a vedere la corsa, ad esempio.
«Eh ma poi gli insegnanti devono fare straordinario e bla bla bla». Ora penso che ‘sta cosa si possa gestire: immaginate che bello sarebbe se, nella settimana prima della Tre Valli si facesse un lavoro di cultura dedicato alla bicicletta nelle scuole. Per i più piccoli dall’educazione stradale (la Polizia stradale già fa attività dedicate a ragazzini di livello elementare e medie, qui vicino, a Cittiglio, in occasione del Trofeo Binda, già succede) all’andare in bici. Magari imparando a riparare una gomma bucata, come ha già sperimentato con successo il collega Lorenzo Franzetti che ha fatto attività del genere nella sua Angera.
Idee alternative alla noia
Per i più grandi c’è un mondo da scoprire e imparare. Il ciclismo si lega(va) alla cultura popolare. Alla Tre Valli Varesine hanno corso e vinto fior di campioni, da Bartali e Coppi a Moser e Saronni, fino ai più recenti Bugno, Chiappucci, Nibali e Pogacar, quest’anno di nuovo, in maglia iridata. Non una corsetta secondaria, insomma. Ecco, raccontando un po’ ci si potrebbe andare avanti anni, trasversali su varie materie. Dall’educazione civica, alla condizione della donna, alla storia d’Italia. Poi, anche di sport.
Invece tutto si risolve in un “ci chiudono in casa”, che poi non è nemmeno vero perché le strade sono bloccate nel momento del passaggio della corsa, poi i vigili, che sanno il loro mestiere, fanno defluire il traffico appena si può, appena passato il fine corsa.
Martedì, però, ho avuto un lampo di speranza.
Mentre me ne andavo sul percorso a guardare la gara ho visto una fila di ragazzini, età da scuola media. Chiedo al volo a uno che si agitava di più: «Siete qui con la scuola?»
«Sì» mi fa lui, continuando a saltellare
«Ah che bravi, di che scuola siete?»
Cerco di appuntarmi la risposta a mente ma non afferro bene il nome che dice sottovoce, interessato più a farsi notare dall’amico che alla mia domanda.
Lascio sfilare, chiederò all’insegnante che vedo al termine della fila più o meno ordinata.
«Lei è l’insegnante?»
«Sì» tenendo d’occhio i suoi discoli.
«Ah che bravi, e li avete portati a vedere la corsa!» Mi faccio uscire finalmente con entusiasmo.
Illusione di un attimo al sole tiepido dell’autunno.
«Ah no, siamo qui per andare a visitare il Comune, non la corsa».
Imbronciata per questo interlocutore un po’ troppo curioso.
Ho mandato giù l’amaro insieme alla domanda sulla scuola e altre mille che avevo già pronte.
Un’occasione persa con un po’ di dolo. E pensare che il ciclismo non dobbiamo nemmeno andarlo a cercare quando ci passa sotto casa.
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