“Non siamo un sacramentificio”: la vita del parroco tra ascolto e cura delle persone
Don Marco Casale, prevosto della Comunità Pastorale SS. Trinità di Gavirate, racconta come cambia il ruolo del sacerdote oggi, tra sacramenti, bisogni concreti dei fedeli e la sfida della corresponsabilità comunitaria
C’è una parola che, più di ogni altra, attraversa la vita di un parroco: ascolto. Non un ascolto passivo o formale, ma la scelta di mettersi davvero accanto alle persone, condividere con loro domande, dubbi e fatiche quotidiane. È questo il filo conduttore che emerge dalle parole di Don Marco Casale, oggi prevosto della Comunità Pastorale SS. Trinità di Gavirate dopo nove anni da parroco nella comunità Beato Don Carlo Gnocchi di Varese, nella puntata del 30 ottobre de La Materia del Giorno.
Un ruolo che cambia con la comunità
«Il ruolo del parroco è molto cambiato – racconta Don Marco – Oggi non basta più il titolo. La fiducia delle persone non è data per scontata: bisogna guadagnarsela, con la presenza, con la coerenza, con la capacità di stare davvero in mezzo alla gente». Il sacerdote di oggi non è più solo il “prete del paese” che amministra i sacramenti, ma un punto di riferimento umano e spirituale in un tempo di frammentazione e incertezza. «Il parroco deve testimoniare Dio con la propria umanità — non bastano le formule o i riti: serve il cuore».
Comunità pastorali e corresponsabilità
Negli ultimi vent’anni la Chiesa ambrosiana ha conosciuto una profonda trasformazione. Le comunità pastorali, nate per mettere in rete più parrocchie, hanno cambiato il modo di vivere la vita ecclesiale. «Nel mio caso — spiega Don Marco — significa servire quattro parrocchie: Gavirate, Comerio, Voltorre e Oltrona. Non si tratta solo di moltiplicare le celebrazioni, ma di imparare a lavorare insieme, valorizzando i doni di ciascuno. È un percorso di collaborazione e corresponsabilità, dove anche i laici hanno un ruolo fondamentale».
“Non siamo un sacramentificio”
La vita del parroco ruota attorno ai sacramenti: battesimi, comunioni, cresime, funerali, ma non si esaurisce lì. «I sacramenti sono il cuore della vita cristiana, ma non siamo un sacramentificio – sottolinea – Non possiamo ridurci a distribuire riti o certificati. Ogni celebrazione deve accendere la vita, far crescere la comunità, far incontrare davvero il Signore».
La giornata di un parroco non ha un ritmo fisso. «Non esiste una giornata tipo. Ci sono le messe, le confessioni, gli impegni amministrativi, ma la parte più vera del mio ministero è fatta di incontri: persone che arrivano con le loro domande, le loro ferite o speranze». Il tempo del parroco è il tempo della gente: la porta che bussa, la telefonata inattesa, il bisogno che non si può rimandare. «Mi piacerebbe poter dedicare più spazio alla preghiera e meno alla burocrazia – ammette – ma anche questo fa parte della realtà. La sfida è restare umani, dentro la complessità».
Farsi aiutare per poter aiutare
In un passaggio particolarmente intenso, Don Marco cita un libro che lo ha segnato: Il guaritore ferito. «Per aiutare gli altri, dobbiamo prima accettare di essere aiutati. Nessuno di noi è indistruttibile: siamo uomini, non supereroi». Da qui la scelta di confrontarsi con un padre spirituale, con persone di fiducia e con laici competenti. «Farsi aiutare è essenziale, altrimenti si rischia di trasmettere solo la propria stanchezza. Nella comunità, ognuno deve poter fare la sua parte: è così che la Chiesa cresce».
Molte persone si rivolgono al parroco non solo per motivi religiosi, ma anche per bisogni molto concreti: un lavoro, una casa, un momento di difficoltà. «Io accolgo tutti, senza giudizio. Non sono un assistente sociale, ma credo che la fede cominci proprio dall’ascolto dei bisogni reali. Avevo fame e mi avete dato da mangiare, dice il Vangelo. È lì che Dio si fa presente». L’attenzione ai poveri e alle fragilità passa anche attraverso le opere di carità e la rete di solidarietà locale: segni concreti di una fede incarnata nella vita.
Una vocazione che ancora parla
A un giovane che si interroga sulla vocazione sacerdotale, Don Marco risponde senza esitazioni: «Ti puoi fidare. È una vita piena, con le sue fatiche, ma ricca di senso. Non mi sono mai pentito della mia scelta». E sorride ricordando: «Da ragazzo volevo fare lo psicologo o il medico. Poi ho capito che il sacerdote si prende cura delle persone nello stesso modo, ma nell’anima. Non sono andato fuori tema».
LO STREAMING DELL’INTERVISTA
TAG ARTICOLO
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
barbara zanchin su Fotografa l'aereo e litiga con il personale a Malpensa: passeggero lasciato a terra
axelzzz85 su Auto contro una recinzione nella notte a Cassano Magnago: cinque giovani feriti, due in codice rosso
elenera su Auto contro una recinzione nella notte a Cassano Magnago: cinque giovani feriti, due in codice rosso
Felice su Auto contro una recinzione nella notte a Cassano Magnago: cinque giovani feriti, due in codice rosso
Tiberio67 su L'hockey in Kenya e la roulette delle carte di credito. Tornano le storie di "Alla Balaustra" in podcast
massimiliano_buzzi su Un fiume di contanti da Malpensa, soldi anche nelle patatine, sequestri e multe










Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.