Hotel per falene: a Materia Ormai svela l’album viscerale e “nemico del perfezionismo”
Dal caos performativo di Milano alla quiete di un set acustico a Castronno. Alessandro Pacco racconta la genesi del suo nuovo album: un progetto nato in disparte, tra «strumenti veri» e la velocità di una scrittura che rifiuta il perfezionismo per restare viva
Si chiamerà Hotel per falene e vedrà la luce nei primi mesi del 2026. È questo lo “spoiler” con cui Alessandro Pacco, in arte Ormai, ha rotto il ghiaccio a Materia, lo spazio di VareseNews a Castronno, definendo il nuovo album come lo «spazio in cui è rinchiusa la musica che ho fatto negli ultimi due o tre anni in disparte».
Un progetto che segna un capitolo che chiude una fase, nato dalla necessità viscerale di fare un disco con «gli strumenti veri» e con la collaborazione di professionisti come Pietro Fichtner e Michele Canova per ottenere una «dimensione quasi cinematica».
Stakanovista della composizione e «nemico del perfezionismo» (inteso come mania che tende a rallentare il processo creativo), per Ormai il nuovo album è frutto di una selezione quasi spietata: dai «settanta pezzi iniziali», la scaletta è stata ridotta a soli dieci brani. Questo processo riflette l’approccio bulimico di Ormai alla scrittura — «faccio un pezzo al giorno» — ma anche la sua paura per il perfezionismo, considerato il vero «nemico dell’arte». Per preservare l’istinto, l’artista si impone di scrivere in tempi rapidissimi, spesso appena venti minuti, evitando di riaprire i progetti per non farsi annichilire dal ventaglio delle possibilità. È un esercizio di disciplina, un po’ come mostra anche Nick Cave in 20.000 Days on Earth, che serve a mantenere la «fluidità del processo», impedendo alla tecnica di soffocare l’emozione pura.
L’estetica di Ormai si gioca infatti su un contrasto costante: associare testi «molto crepuscolari e scuri» a immagini di serenità universale. Durante lo showcase dal vivo, accompagnato dalla chitarra di Fichtner, questa dualità è apparsa evidente: i brani urban, spogliati della loro veste elettronica, hanno mostrato un’ossatura cantautorale solida, capace di reggere il peso della parola. Per Ormai, il palco rappresenta la fine del viaggio creativo: «La musica finisce quando la porti sul palco. Quando vedi la faccia dell’altro dici: ah non è più mio, adesso è una roba tua».
Nelle parole di Ormai emerge anche un rapporto profondamente conflittuale con la dimensione professionale della musica. «Volevo fare della musica il mio lavoro, ma adesso che lavoro con la musica la odio perché è un lavoro», ha confessato l’artista con una sincerità che taglia il clima raccolto della serata. Ormai non nasconde il lato oscuro della routine, descrivendosi come un «pendolare in macchina come uno stronzo qualunque» che vive le dinamiche di un sistema dove «il capitalismo è terribile». È un’analisi cruda, priva di disincanto e al tempo carica del romanticismo viscerale delle sue canzoni, che vede l’arte, se piegata dentro a logiche che agiscono fuori dall’arte, ma come un meccanismo che a tratti prosciuga, in cui l’unica salvezza è mettere la testa fuori dalla «merda» per brevi istanti di bellezza.
Questa insofferenza spiega anche la sua fuga da Milano e il ritorno in provincia. Alessandro ha descritto la metropoli come una città «estremamente performativa ed estremamente finta», dove l’ambiente musicale costringe a «fare le moine a gente che non conosci per cercare di raccattare collaborazioni». Oltre al disagio sociale, c’è una motivazione economica brutale: spendere ottocento euro per una stanza condivisa toglie il fiato e la voglia di creare. Tornare alle radici significa per lui ritrovare lo spazio per «giocare con i gatti, bere un Negroni pagato con i proventi delle canzoni e scrivere ovunque — che sia uno studio asettico o una «spiaggia chiusa di notte».
In attesa di Hotel per falene, resta il ritratto di un artista che cerca la felicità in un «orizzonte pulito» e che, nonostante la dichiarata avversione per le logiche del lavoro, continua a farsi trascinare dalla «musica bella», come quella di Battisti, che puntualmente gli restituisce la voglia di «stare alle macchine» e ricominciare a scrivere e produrre.
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