Omicidio Bossi, gli imputati si contraddicono in corte d’Assise a Busto Arsizio
L’avvocato della famiglia Davide Toscani: “Andrea purtroppo ha pagato care la propria generosità e la fiducia nel prossimo. Mai una parola di scuse”

Tutto e il contrario di tutto. Versioni contraddittorie, accuse incrociate di colpevolezza in aula, con esami resi dinanzi alla corte d’Assise risultati in alcuni casi incompleti. Martedì in aula si è tenuta l’udienza nella quale i due giovanissimi arrestati con l’accusa di omicidio del 26enne Andrea Bossi a Cairate, cioè Douglas Carolo e Michele Caglioni, hanno parlato agli otto giudici (due togati e sei popolari). L’esame del primo degli imputati si è fermato dopo quattro ore di escussione: «Non voglio più andare avanti», ha detto Carolo dopo la sua ricostruzione dei fatti che ha addossato la responsabilità dell’omicidio all’amico.
Nel pomeriggio è poi toccato a Caglioni: anche qui l’esame è partito dalla ricostruzione dei rapporti con la vittima per passare poi alla composizione dei momenti per ridisegnare quanto avvenuto quella serata fra il 26 e il 27 gennaio 2024 nell’appartamento ai piani superiori della casa di Cairate, zona semi periferica, qualche strada e poi subito i campi nei dintorni. Caglioni ha parlato di un furto che in origine lui e il complice volevano portare a termine ai danni della vittima (che chiamavano «il ciccione») e di aver saputo del piano solo il 26 gennaio, cosa però smentita dalle dichiarazioni della fidanzata: è il tentativo di annullare l’aggravante della premeditazione.
Sul fatto poi, l’imputato ha prima affermato di aver visto l’amico strangolare Bossi a mani nude per poi accoltellarlo al collo e trascinarlo via col coltello in mano, per poi affermare di aver visto Carolo sfilare il coltello dal collo della vittima esanime a terra. Particolari che non combaciano, versioni discordanti sul fatto, tentativi di costruirsi una nicchia, un quadrato difensivo che allontani la responsabilità dell’accaduto e le spinga verso il coimputato.
Un quadro che non è naturalmente sfuggito al difensore di parte civile avvocato Davide Toscani, che assiste la famiglia della vittima (genitori e sorella): «Abbiamo assistito ad un tentativo maldestro e soprattutto inutile, da parte di entrambi gli imputati, di addossarsi reciprocamente la responsabilità esclusiva di un omicidio efferato, in realtà commesso da entrambi in concorso tra loro. Le opposte versioni date dai due imputati dello stesso fatto sono apparse sin da subito illogiche, contraddittorie e inidonee a scalfire le testimonianze e i documenti già acquisiti al processo».
L’avvocato si riferisce poi direttamente all’aggravante della premeditazione: «Il proposito di uccidere il povero Andrea, dopo averlo rapinato, era comune ad entrambi gli imputati. La decisione condivisa dai due risaliva addirittura ad un mese prima dell’attuazione concreta del piano». Conclude Toscani: «Anziché raccontare una marea di falsità, i due avrebbero fatto bene a chinare il capo e a scusarsi per l’orrendo misfatto compiuto. Invece in 10 ore di udienza nessuno dei due imputati ha mai pronunciato una minima parola di dispiacere o di rincrescimento per il povero Andrea e per i suoi familiari. Gli imputati sono apparsi assolutamente privi di empatia verso la vittima e del tutto indifferenti al grande dolore provocato nei familiari e negli amici di Andrea. Andrea purtroppo ha pagato care la propria generosità e la fiducia nel prossimo».
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