Interrogati i fratelli Sozzi, prime ammissioni
I due imprenditori della Gisowatt sono stati interrogati dal Gip Patrizia Nobile e avrebbero cominciato ad ammettere quanto viene loro addebitato: corruzione, frode fiscale e ricettazione le accuse
Sono stati interrogati questa mattina (venerdì 16 maggio) a Monza dal Giudice per le indagini preliminari Patrizia Nobile, , i due fratelli imprenditori titolari della Gisowatt di Gorla Minore, Gianfranco ed Emanuele Sozzi, finiti in carcere nell’ambito dell’operazione Free Pass della Procura di Busto Arsizio e dei carabinieri di Saronno. I due avrebbero cominciato ad ammettere alcuni addebiti rispetto alle accuse di corruzione, ricettazione e frode formulate nell’ordinanza di custodia cautelare che li vede al centro di una rete criminale che va dalla ‘ndrangheta ad alcuni pubblici ufficiali.
I due sono apparsi piuttosto provati ma, di fronte alla mole di intercettazioni e indizi raccolti dagli inquirenti, non hanno potuto negare alcune circostanze. Certamente più compromessa la posizione di Emanuele Sozzi il quale, senza alcuna remora ammetteva, nelle conversazioni captate, di «dover ungere la ruota per farla girare» e svariati sono gli episodi in cui l’imprenditore concedeva regalie ai 4 poliziotti che sono finiti con lui nella rete dei carabinieri. L’uomo, in cambio di informazioni sensibili ottenute da accessi abusivi alla banca dati dello Sdi o di corsie preferenziali per la fidanzata straniera a Malpensa, concedeva denaro contante, ricoveri in cliniche specialistiche, aspirapolveri, sconti sull’affitto, belle macchine ai funzionari di Polizia corrotti.
Dall’altro lato, invece, c’è la maxifrode fiscale che i due avevano messo in piedi per non rispondere della difficile sutuazione debitoria dell’azienda di famiglia, la Gisowatt di Gorla Minore che ora rischia la chiusura. I fratelli Sozzi avevano, infatti, architettato uno svuotamento della società per azioni a favore di un’immobiliare gestita da un prestanome (la madre 80enne, ndr) trasformando la società da 1,4 milioni capitale in una srl con un capitale di poco più di 100 mila euro. In questo modo – raccontano loro stessi nelle intercettazioni – avrebbero messo in salvo i beni di maggior valore dal fisco che bussava alla porta.
Infine c’è il rapporto con la ‘ndrangheta e in particolare con il clan reggino dei Tripepi – De Marte dal quale si facevano proteggere ed estorcere denaro a più riprese. Con gli stessi facevano anche qualche affare ricettando gioielli e orologi preziosi di sicura provenienza illecita.
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