“Il Giornale” cita il processo Bossi-Motta: e Gallarate diventa “come la DDR”

Il Giornale, diretto da Sallusti, rispolvera una vicenda già superata. In tutto sette le utenze telefoniche "bersaglio" e tre intercettazioni ambientali ammesse al processo

In tempo di rinnovata attenzione del governo sul fronte intercettazioni il quotidiano "Il Giornale" torna sul tema. Nel numero di oggi, mercoledì 23 febbraio, un articolo prende di mira la gestione della vicenda culminata nel processo "Lolita" a carico di Gigi Bossi, l’ex dirigente del settore urbanistica del Comune di Gallarate, della compagna, l’architetto Federica Motta, e dell’ex presidente dell’odine degli architetti Riccardo Papa: l’accusa è di aver creato un sistema egemonico di cui Bossi era il vertice mentre Motta e Papa firmavano quasi tutti i progetti edilizi in città.

In verità la vicenda era emersa già un anno e mezzo fa, dopo la richiesta di trascrizione integrale delle difese. Si era fatto notare come la mole delle intercettazioni effettuate avrebbe richiesto qualcosa come 83 anni per essere trascritta integralmente: le cose poi non andarono così tragicamente, la corte concesse alcuni mesi perchè l’accusa potesse scegliere quelle che facevano al caso, e la difesa valutare gli elementi a discarico in queste. La decisione del collegio giudicante si basava sull’assunto che il diritto alla difesa e all’accesso alle intercettazioni devono essere garantiti ma senza incidere sulla giusta durata del processo e sull’obbligatorietà dell’azione penale; e il procedimento è poi proseguito senza particolari problemi. Non solo, ma in nessuna istanza intermedia, in testa il Riesame, fu contestato qualcosa in materia.

L’articolo a pagina 7 de "Il Giornale" di oggi, in una paginata tutta dedicata alla "giustizia malata", non esitare a paragonare Gallarate e la vicina Busto, nvece che a Manchester, "alla Chicago di Al Capone" causa il numero delle intercettazioni. Il quotidiano dioretto da Alessandro Sallusti sfodera la lettera scritta nel 2009 dai due consulenti incaricati, in teoria, di trascrivere "trecentomila intercettazioni", riferendo come sia stata inoltrata al "pm" Toni Novik. Che in verità sarebbe il presidente della sezione penale del tribunale di Busto Arsizio: un giudice. Anzi, il giudice. Che, una volta informato di questa svista, ne sorride: «Be’, grazie per la "nomina" a pm, un vecchio sogno che ormai mi è precluso…» Ma sul numero di intercettazioni della vicenda "Lolita" (così detta dal nome dello studio professionale della Motta ndr) torna serio: «È normale un volume di conversazioni intercettate di questo livello, quando si ha a che fare con persone che usano quotidianamente il telefono, seguite per alcuni mesi». Una comune inchiesta per spaccio di droga, fanno sapere anonimamente aòtltre voci in Procura, può perfino superare queste cifre, dato il volume delle comunicazioni.

Se "Il Giornale" usa questa vicenda, ripetiamo vecchia di due anni e ormai superata, come prova per "dimostrare" la presunta ingestibilità del sistema delle intercettazioni che il governo ora vuole restringere, e titola nell’occhiello "Gallarate peggio della DDR: ha 50mila abitanti, ma la Procura di Busto Arsizio li ha spiati 300mila volte" è bene precisare, prima che si equivochi, come le intercettazioni su cui si fonda il processo siano state fatte, tra fine novembre 2007 e metà luglio 2008, in totale a carico di dieci "bersagli" in tutto: sette utenze telefoniche (furono alla fine circa 280 le telefonate trascritte), due intercettazioni ambientali in carcere, e una sempre ambientale in un’automobile. Altre sette-otto utenze intercettate sono state stralciate dalla vicenda, non essendo emerso nulla da innocenti chiamate di carattere personale o professionale. Eccetto una: l’utenza di Nino Caianiello in Amsc, da cui è emersa la vicenda per cui è attualmente a processo con l’accusa di peculato, ossia l’uso del telefonino aziendale anche per chiamate di carattere strettamente personale.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 23 Febbraio 2011
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