Pantaloni alla zuava
I soldati zuavi erano berberi di Algeria. Nel 1830 furono inquadrati nell’esercito francese e nel 1859 presero parte, con Napoleone III e i loro pantaloni bianchi con ampi sbuffi, alla nostra seconda guerra per l’indipendenza dell’Italia. Di Enzo Rosario Laforgia
Probabilmente tra i miei coetanei, nati negli Sessanta, qualcuno si ricorderà dei pantaloni alla zuava. Ero alla scuola elementare, quando mia madre mi impose un paio di pantaloni alla zuava con disegno scozzese. Secondo mia madre, di solidi e irremovibili principi estetici, dovevo portarli con calzettoni bianchi traforati e scarpe di pelle con grande fibbia di ottone. Mi chiedo ancora come sono riuscito a sopravvivere all’esibizione di un tale completino per le strade del mio quartiere. Quella esperienza ha sicuramente rafforzato il mio Super-Io.
Mi sono ritornati in mente quei terribili pantaloni alla zuava in questi giorni. Tra uno squillo di trombe patriottiche e un bell’esempio di pensiero minimo ancora una volta regalatoci dal Ministro delle riforme per il federalismo (emergenza umanitaria a Lampedusa? «Föra di ball’!»), mi sono riapparsi i pantaloni alla zuava.
Quel modello di pantalone (che ho odiato con tutto me stesso), prendeva il suo nome – ho scoperto in seguito – dai soldati zuavi. Erano berberi di Algeria, che, nel 1830, furono inquadrati nell’esercito francese. Nel 1859 presero parte, con Napoleone III e i loro pantaloni bianchi con ampi sbuffi, alla nostra seconda guerra per l’indipendenza dell’Italia. Il pennello del bresciano Angelo Inganni (1807-1880) li immortalò accampati sugli spalti di San Giovanni o presso il castello del capoluogo lombardo.
Molti anni fa mi era capitato per le mani un reportage realizzato da Luciano Bianciardi nel 1968. Lo scrittore aveva viaggiato da Tripoli ad Algeri a bordo di una 125, per conto della Fiat e della rivista «L’Automobile». Nelle primissime pagine, Bianciardi cercava di mettere a fuoco le nozioni che possedeva sulla terra di destinazione. Nell’elencarle tutte, ad un certo punto scriveva: « La battaglia di Magenta, di Palestro, di Solferino. Vittorio Emanuele II nominato sul campo caporale d’onore degli zuavi. Gli zuavi erano algerini. A Milano, sulla base del monumento a Napoleone III, sono scolpiti i nomi di tutti i caduti della campagna del ‘59. Provate a leggerli: tenente colonnello Pierre Dupont, sergente Auguste Blanchard (mio omonimo) ma soldato Mustafà ben Mohammed. Truppa di prima schiera, valorosissima».
Vale la pena fare un salto nel Parco Sempione. Per dare un’occhiata al bel monumento equestre di Napoleone III, realizzato da Francesco Barzaghi. E per leggere dei tanti soldati come Mustafà ben Mohammed, che attraversarono allora la Lombardia e offrirono il loro bel tributo di sangue nella carneficina di Solferino.
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