La mafia a “misura Duomo”

Presentato in anteprima il documentario “Milano Mafia” di Gianni Barbacetto che denuncia le infiltrazioni mafiose a Milano e in Lombardia, una regione che “oggi è anche peggio della Sicilia”.

Sono ormai lontani i tempi in cui si poteva dire “la mafia al nord non esiste” o pensare che, comunque, al nord riguardasse solo la finanza. Quei tempi sono stati demoliti dai fascicoli delle sentenze di diversi processi, l’ultimo dei quali – il cosiddetto “Infinito”- si è concluso sabato scorso con ben 110 condanne. Estorsioni, aggressioni, usura, traffico di droga che prendevano vita a pochi passi da Piazza Duomo e che vengono raccontati nel documentario di Gianni Barbacetto, giornalista del “Fatto Quotidiano”, presentato in anteprima martedì 22 novembre dall’associazione “il Quadrifoglio” al Museo del Tessile.
«In Lombardia ci sono almeno 13 politici eletti con i voti mafiosi – spiega Barbacetto – e per questo i cittadini devono prestare molta attenzione».

Come raccontato anche da Carlo Stelluti, ex sindaco di Bollate, bastano poche centinaia di voti per far entrare «un mafioso in consiglio comunale, farlo diventare magari assessore all’urbanistica e, dall’interno, aiutare l’organizzazione illegale». Ma non ci sono solo piccoli consigli comunali di provincia tra quelli infiltrati dalle cosche. Le intercettazioni, le dichiarazioni dei pentiti o le ricostruzioni dell’autorità giudiziaria portano anche a nomi politici di primo piano come presidenti di Regione o ex ministri che «sopratutto se non si fossero accorti di avere rapporti con mafiosi devono andarsene perchè inadeguati».

Oggi in Lombardia, continua Barbacetto «non si può più parlare di “infiltrazioni” perchè non si tratta più di un corpo estraneo che cerca di contagiare un sistema sano ma di un sistema profondamente condizionato dalle organizzazioni criminali». Ma oltre a questa connivenza oggi la nostra regione «è peggio della Sicilia perchè qui c’è chi dice ancora che “la mafia non esiste” o chi ti dice che il pizzo da queste parti non si paga». Il giornalista fa notare più volte nel corso della serata che le cosche mafiose, le locali di ‘ndrangheta o le famiglie di camorristi («perchè noi qui non ci facciamo mancare nulla») non avrebbero potuto radicarsi nel territorio «se non ci fossero stati imprenditori che al libero mercato hanno preferito la certezza di un appalto pubblico». E così interi settori economici sono finiti nelle mani dei mafiosi.

Massimo Brugnone, coordinatore regionale di “Ammazzateci Tutti” nel dialogo con Gianni Barbacetto ricorda poi come «la sentenza “infinito” abbia certificato che al nord la ‘ndrangheta non ha una struttura orizzontale ma un’organizzazione verticale con almeno 15 locali che si sono spartite il territorio e che fanno riferimento ad un vertice lombardo superiore» che ha cercato di staccarsi dalla “madre patria” calabrese. Tentativo represso poi nel sangue con l’omicidio di Carmelo Novella.
E anche se il quadro sembra essere piuttosto desolante, ricorda Massimo Brugnone che «gli stessi ‘ndranghetisti scrivono nei loro memoriali che “la vita finisce o in galera o morti ammazzati”». Alla fine, la società civile sopravviverà.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 23 Novembre 2011
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