Don Gallo: “Evviva i profeti del Novecento”

Successo per lo spettacolo “Io non taccio” al Teatro Condominio di Gallarate

Le prediche di Girolamo Savonarola aprono la porta; don Andrea Gallo la chiude. In fondo si tratta di un pretesto: l’Italia del Quattrocento – la Firenze del domenicano bruciato sul rogo – non è la nostra. Ci sono però storture che il sacerdote genovese – amico di Fabrizio De André, Vasco Rossi e Manu Chao – è sempre pronto a denunciare.
Anche se don Gallo, ieri sera (venerdì 30) al Teatro Condomino di Gallarate di fronte a circa quattrocento persone con lo spettacolo "Io non taccio", si chiede come sia «mai riuscito a diventare prete». Perché i "profeti" cattolici del Novecento sono tanti: Turoldo, Zanoletti, Ciotti, Balducci (e tutti avrebbero meritato il meglio). Ma anche quelli "profani" come Mario Monicelli, Ettore Scola, Giorgio Bocca. Così le prediche di Savonarola lasciano il campo ai monologhi del prete anarchico: il politico eretico sfida la società di cinque secoli fa parlando di guerra e pace, di ricchi e poveri, di consumismo, di intolleranza, di prevaricazione. Don Gallo fa altrettanto: «Ogni tre minuti, in Africa, muore un bambino: i conti della FAO non tornano!».
Di fronte a questo prete da marciapiede non si può non provare imbarazzo: ti senti colpevole, inoperoso, arido. C’è tanto da fare, in questa società dove una falsa "globalizzazione dei diritti" ha portato un sacerdote ad interrogarsi su ciò che non va. Sul futuro degli ultimi, degli emarginati, dei soppressi. Criticato, forse, da chi pensa che chi ha sposato Dio e il Vangelo non possa non tacere, ragionare, riflettere, incalzare le coscienze. Ognuno segue la sua via: tre ore di ricordi – don Gallo riassume, in buona parte, ciò che ha scritto nei suoi libri, detto in televisione, raccontato nelle piazze – che corrono su quella sottile linea dove è facile confondersi nell’offesa, nella bestemmia e nel turpiloquio.
Eppure, la maggior parte di ciò che dice don Gallo è sensato: «Scacciare l’apparire, l’avere e l’appropriarsi per premiare l’accoglienza, l’amore e l’ascolto». Al pari di Savonarola: «A chi serve il vestito se non c’è dentro l’umanità?». Inoltre: «Ero compagno di Università del cardinale Bertone: io non sono neppure canonico delle vigne!». Ma non è questo il punto: «In questo mondo dove sono la politica, i valori, la democrazia?». Il monito di don Gallo è semplice: «Restiamo umani per coniugare la nostra fede cristiana».
Don Gallo non cede né di fronte agli anni, e né di fronte a chi lo vorrebbe considerare un povero vecchio: «Serve una rivoluzione pacifica e coesa, perché l’uomo di oggi è appagato solo negli oggetti di consumo. Altro che capitalismo e neoliberismo». Ma gli oggetti devono servire a qualcosa, ad uno scopo, altrimenti si rischia di scivolare. Spettacolo denso di biografia – «Alla caduta del Cavaliere ho contributo anch’io» – dove il ricordo della madre, del fratello (tenentino del Genio ed uno fra i pochi superstiti della Campagna di Russia) e di De André, entrano come una furia nella logica del discorso che non è politico ma sociale. Che è per il bene di tutti. Che affida ai bravi Stefano Albarello (voce e liuto) e Valentino Corvino (viola, live electronics) commenti sonori nei quali la parola si trasforma in addensante del pensiero. Tante parole, tanti richieste di aiuto, tanti sospiri: perché don Gallo è obbediente e cieco. Vive di un «innamoramento di adesione». E infine, a chi vorrebbe togliergli tutto e lasciarlo solo nella sua Genova, dice: «Ho 84 anni e ho sempre vissuto un’adesione totale al popolo di Dio e alla Chiesa cattolica. Non mi serve nulla, ma non toglietemi il mio mezzo toscano». Un vizio, tra i tanti della nostra società, del tutto innocuo.

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Pubblicato il 31 Marzo 2012
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