Borghi: “Dovevo accettare i 6 milioni di Ligresti”

Nel giorno in cui il presidente della Svicc spa, la società che gestisce l'ippodromo delle Bettole, vince tutte le sue battaglie, si fa prendere da un dubbio amletico: accettare o non accettare. Questo era il problema

Montello, Ippodromo, Biumo Superiore, Sangallo: le persone (inserita in galleria)

Guido Borghi si sente, suo malgrado, un uomo solo al comando. Per il figlio del simbolo del boom economico italiano, la società di cui è presidente, la Svicc spa (più conosciuta come la Varesina), rischia di diventare un’ossessione.

La Varesina, non è certamente l’Ignis di Giovanni Borghi, ma con i suoi 130 anni di storia del galoppo custodisce una tradizione importante della città e nessuno, tantomeno Guido Borghi, voleva mettere la firma sulla sua fine. Lo stesso pensiero deve essere passato per la testa del sindaco Attilio Fontana che nelle cronache relative all’ippodromo, di cui è proprietario il comune di varese, non avrebbe mai voluto essere ricordato come il primo cittadino sotto il cui mandato quella tradizione è definitivamente morta.

Ora sembra che la Svicc spa sia rinata: si farà la pista per il trotto che porterà altri soldi, gli azionisti che contano, fra tutti Bruno Ermolli e la famiglia Curti, hanno ricapitalizzato la società per consentire gli investimenti necessari e chi «è scappato via», per usare le parole del presidente Borghi, non ha avuto ragione. Della famosa cordata di imprenditori che dovevano rilevare la società non c’è traccia, se non nei colloqui informali con il vicesindaco Baroni e in una new entry prestigiosa tra gli stessi soci.

Eppure Borghi nel momento in cui dovrebbe gioire per averla avuta vinta su tutti, a partire dagli allenatori di galoppo fino ai proprietari, passando persino indenne dalle fiamme appiccate alla club house, si fa prendere da un rimorso inspiegabile. «Avrei dovuto vendere le mie quote a Salvatore Ligresti – dice con un tono più malinconico che arrabbiato -. Mi aveva offerto sei milioni di euro, ma a differenza di alcuni che continuano a parlare, dimenticando di aver ceduto subito all’offerta (il riferimento è al gentleman Pinuccio Molteni ndr) incassando molti soldi, io sono rimasto e ho continuato da solo senza che nessuno muovesse un dito per aiutarmi».

Non è facile essere figli di Mister Ignis anche se probabilmente in tempi di globalizzazione selvaggia nemmeno un grande capitano d’industria, che ha portato cucine e frigoriferi nelle case di tutti gli italiani, avrebbe potuto evitare la deriva dell’ippica nostrana che, tra l’altro, non rientra nemmeno tra le priorità del governo Renzi.

Nonostante tutto ciò, Guido Borghi non riesce a sorridere e ripete più volte «avrei dovuto vendere». Oggi rischia di passare alla storia come colui che ha salvato la Varesina da una fine triste, ma questo ruolo non gli dà sollievo. E quando qualcuno prova a fargli presente che il celebre padre è soprattutto ricordato per quanto ha investito nello sport, lui risponde con una citazione, poco colta ma efficace, del celebre genitore: «A vess trop bun, sa pasa per cujun».
La domanda allora sorge spontanea: «Perché, signor Borghi, continua a fare il presidente della Varesina?».
Risposta: «Lei pensa che qualcuno si sia fatto avanti, oltre a Ligresti?».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 02 Luglio 2014
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