Storie di Imprese

Da grande farò il sarto

La Sartoria Vergallo di Gianni Cleopazzo ha assunto cinque giovani apprendisti, una scelta coraggiosa presa per tramandare un mestiere antico e affrontare le nuove sfide del mercato

Sartoria Vergallo

In via Donizetti a Varese una piccola palazzina liberty color crema resiste al grigio dell’inverno e ai palazzoni di cemento armato che la sovrastano. Al suo interno un arredamento ricercato ma sobrio, ospita uno dei più prestigiosi laboratori della città: la Sartoria Vergallo. Una bottega, intesa nel senso più tradizionale del termine, in cui il maestro Gianni Cleopazzo insegna il mestiere a cinque giovani apprendisti che disegnano, tagliano, stirano, cuciono abiti destinati a vestire facoltosi clienti italiani, londinesi, cechi, belgi.
Un’eccezione nel panorama delle microimprese italiane, in cui troppo spesso gli investimenti in risorse umane non sono (o non possono essere) la priorità e che vale la pena raccontare.

Giunta al suo terzo passaggio generazionale, ha compiuto settant’anni nel 2013, la Sartoria Vergallo nasce in un piccolo paesino in provincia di Lecce. Nel 1972 la famiglia Cleopazzo trasloca a Varese, portando in città la cultura artigianale ereditata dal nonno materno di Gianni, Carmelo Vergallo. Nel 1986, nonostante qualche resistenza iniziale, «puoi immaginare cosa significasse per un ragazzo di 18 anni rinunciare ai divertimenti di quell’età, per dedicarsi anima e corpo a un lavoro che non ha orari né ferie», Gianni decide di entrare in azienda e per la prima volta indossa un ditale.

Comincia così un lungo apprendistato che porta Gianni a Torino, dove impara i trucchi del mestiere alla scuola di taglio Ligas, e a bottega dove si perfeziona nell’arte della drapperia fino a diventare titolare della rinomata sartoria di famiglia.
Agli inizi del duemila la svolta. «Circa dieci, quindici anni fa, mi sono reso conto che tutti i nostri collaboratori avevano una certa età. Allora mi sono posto una domanda: Ma tra dieci anni chi mi aiuterà a confezionare un abito per cui ci vogliono in media circa 40 ore di lavoro?». La domanda si trasforma in un’inserzione sul giornale. «Per quasi cinque anni nessuno bussa alla mia porta, poi un bel giorno arriva Marco, il mio primo “discepolo”».

Marco è un ragazzo di 23 anni, dinoccolato, pizzo e baffi curatissimi, vestito rigorosamente su misura: «Era l’anno della terza superiore, cercavo un lavoretto per l’estate e, dato che mi piaceva cucire ho provato a chiedere se in sartoria avessero bisogno di un aiutante».
La fortuna premia gli audaci. Marco ha talento, è creativo ma rigoroso quanto serve per il mestiere. Subito dopo il diploma Gianni gli offre un contratto di apprendistato.


La formula paga
. Il contratto, che prevede 120 ore obbligatorie di formazione (di cui 40 svolte all’Enaip di Varese) e molta pratica in azienda dà i suoi frutti. «All’inizio è chiaro è un costo per l’impresa – racconta Gianni – ma alla fine del percorso ripaga dell’investimento fatto». Dopo la fortunata esperienza con Marco, Gianni decide di continuare sulla strada tracciata.
In una manciata d’anni entrano in sartoria anche Francesca, Beatrice, Alessandro e Martina. Totale cinque apprendisti con una media di 24 anni d’età.

Figli dei cosiddetti “Anni Zero”, quelli della crisi che ribalta, senza offrire prospettive, modelli consolidati nel tempo e che restituisce l’immagine di una generazione fatta di laureati mancati, “neet”, lavoratori precari, i ragazzi della sartoria Vergallo hanno trovato la loro strada anche grazie a un imprenditore che ha saputo guardare al di là degli ostacoli, primo tra tutti la burocrazia, senza aver paura di svelare i segreti del mestiere e guardando alle opportunità di un mercato ancora in grado di saper valorizzare il “saper fare” dei nostri imprenditori.

L’IMPRESA DELLE MERAVIGLIE

CONFARTIGIANATO IMPRESE VARESE


Scheda dell’azienda
Sartoria Vergallo
Via Gaetano Donizetti, 21100 Varese (va)
TEL 0332 231072
MAIL info@sartoriavergallo.it

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 20 Febbraio 2015
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