Morta in pronto soccorso, medico a processo: “Visita tardiva”
Sembrava una bronchite, ma una donna di 34 anni morì mentre atteneva il medico di turno
Fu un’embolia polmonare a uccidere la donna tunisina deceduta in pronto soccorso a Luino, due anni fa, e la cui morte destò la rabbia dei parenti che tentarono di aggredire i medici. Purtroppo quel giorno l’infermiere al triage dell’ospedale assegnò un codice verde alla povera 34enne, madre di due bambini piccoli, che ritardò le cure.
Un errore che tuttavia non è stato attribuito all’infermiere del triage, poiché non rientrava nelle sue funzioni quello di stabilire l’esatta gravità della situazione, bensì alla dottoressa che si trovava quel giorno in turno al pronto soccorso, ovvero l’unica che aveva la qualifica per capire la situazione se avesse effettuato entro tempi più ragionevoli la visita di controllo.
Fatma Jejili, questo il nome della donna, giunse in ospedale verso le 14 e morì intorno alle 18 del 5 aprile 2014. Fu visitata nei giorni precedenti dal medico curante ma quando le difficoltà respiratorie aumentarono, temendo qualcosa di più di una semplice bronchite, si recò con il marito all’ospedale: le fu detto di attendere con il codice verde ma morì praticamente in sala d’attesa.
Il medico del pronto soccorso è stato rinviato a giudizio e il processo si terrà il prossimo 19 maggio. La perizia del consulente dell’accusa, secondo il difensore di parte civile Antonio Battaglia, ha accertato che la donna fu uccisa da un trombo che si staccò dalla gamba e percorse il corpo fino ai polmoni. I medici non si accorsero in tempo. La sorella di Fatma da allora chiede giustizia.
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