Per i neolaureati “saper rubare” il mestiere è fondamentale

Alla Liuc una tavola rotonda dal titolo "Il futuro che esiste" dedicato alle matricole. A raccontare la loro storia il vice presidente di Bosch Europa e tre ex studenti: un imprenditore, una professionista e una manager

Liuc generico

Dinamismo, voglia di apprendere, capacità di risollevarsi dopo le esperienze negative, determinazione, velocità, volontà di differenziarsi dagli altri, saper lavorare in gruppo, comunicare e collaborare. L’elenco seppur  lungo è molto utile perché chi si appresta a entrare nel mondo universitario deve sapere come attrezzarsi dopo la laurea. A maggior ragione se  i consigli arrivano da chi ci è già passato e oggi si può considerare una persona di successo.

L’elenco è stato servito sulla tavola rotonda “Il futuro che esiste” organizzata dall’Università Liuc e rivolto appunto alle matricole. Federico Visconti, rettore dell’ateneo  di Castellanza, non ama i «de profundis» – così li chiama lui – cioè il continuo lamento di ciò che non funziona, il disfattismo a oltranza, arte fin troppo praticata in Italia. Pertanto, dovendo rivolgersi a dei debuttanti universitari, ha pensato di far raccontare a tre ex studenti, oggi consulenti, professionisti e imprenditori di successo, e al vice presidente di Bosch per l’Europa con delega alle risorse umane e all’organizzazione, la loro esperienza.

Quattro percorsi interessanti, abbastanza distanti tra loro nel tempo, in grado di rappresentare bene le difficoltà e i cambiamenti da affrontare una volta terminati gli studi. Suggerimenti preziosi per le tante matricole presenti perché i quattro “testimoni consapevoli” sono stati molto schietti, a partire dal più giovane, Alessandro Cadoni, oggi 27enne, che ancor prima di laurearsi in ingegneria gestionale aveva fondato Friendz, startup attiva nel digital marketing.

«Lavoravo di giorno e studiavo di notte – ha raccontato il giovane startupper – e la scelta di fare l’imprenditore nasce dal mio spiccato desiderio di essere autonomo. Non volevo avere una carriera da laureato standard».

Di standard Cadoni ha proprio poco. Capelli indisciplinati, barba non troppo curata, giacca e cravatta inesistenti e occhiali decisamente grandi, come l’idea che ha realizzato. Si tratta di una applicazione che permette di attivare in pochi minuti migliaia di persone che amano svolgere attività per i brand, tra cui la produzione e pubblicazione di contenuti sui social.

«È un settore competitivo – ha continuato il neo imprenditore – a tal punto che l’ultimo arrivato si sente come una cacchetta. Oggi diamo lavoro a 17 persone e gestiamo 30 brand».

Il giovane startupper, secondo Visconti, presenta il tratto tipico e ricorrente di tutti gli imprenditori: la ricerca di uno spazio di differenziazione. La partecipazione alla nascita di un progetto imprenditoriale può essere uno strumento utilissimo per acquisire molte conoscenze, come dimostra l’esperienza di Sara Franciosi, oggi manager della Walt Disney. «Dopo una prima esperienza in Opengate azienda della new economy quotata in borsa- ha spiegato Franciosi – dove ho vissuto una situazione difficile da gestire perché in fase di declino, sono approdata alla multinazionale farmaceutica Novartis dove ho partecipato alla nascita di una startup del gruppo facendo una grande esperienza nella gestione del cliente retail che poi mi ha permesso di arrivare alla Disney. Quindi se c’è un treno prendetelo perché una volta perso non ritornerà».

Nell’immaginario collettivo il ruolo del revisore contabile non è percepito come dinamico. Eppure, come spesso accade, ciò che pensa la gente non corrisponde alla realtà. La conferma  è arrivata da Claudia Menegatti, laureatasi quindici anni fa alla Liuc e oggi felice e soddisfatta di essere un senior manager della Deloitte. «Non avevo fin da subito chiaro che cosa fare – dice la professionista – ma una volta iniziato questo lavoro, ho dovuto vincere la timidezza e imparare a relazionarmi perché il revisore contabile ha a che fare con un terzo, cioè un cliente, a cui sostanzialmente dà fastidio. Quindi è tutt’altro che un lavoro statico».

Quando si ha di fronte un capo di una grande multinazionale, è quasi automatico pensare che  quello fosse il suo sogno. Invece no, Roberto Zecchino, vice presidente di Bosch, voleva fare il calciatore professionista ma alla fine, nonostante una buona carriera nelle squadre giovanili, si è reso conto che la sua strada era un’altra. «La parola carriera e il percorso per farla è cambiato molto in questi ultimi anni- ha spiegato Zecchino -. Oggi le competenze non bastano, occorre saper collaborare, lavorare in team, riconoscere le diversità e accettarle. Ecco perché si valutano positivamente le esperienze fatte all’estero, gli stage e l’aver collaborato a un progetto».

Essere proattivi, dunque, paga. Lo sanno le migliaia di imprese varesine che, con la fame e rubando il mestiere,  hanno scritto il romanzo industriale di questa provincia.

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 21 Settembre 2016
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