La funzione educatrice dei giudici varesini

Tre micro episodi che accendono l’attenzione su di un un solito luogo che può servire ad imparare come si sta al mondo

Avarie

“Palestrato e tatuato, perde la voce al banco degli imputati”.

“In braghe corte viene ripreso dalla corte: negli uffici pubblici, pantaloni lunghi!”.

“Il giudice lo sgrida perché mentre gli parla non lo guarda in faccia”.

Tre titoli inventati di articoli mai scritti. Sintesi di fatti vissuti in successione, negli ultimi giorni nelle aule di giustizia e che vedono coinvolti giovani, giovanissimi: poco più che maggiorenni.

Non solo imputati, beninteso. Di certo non criminali dalla consonante maiuscola.

Questa mattina per esempio, mercoledì, in un processo per droga dove sono stati sentiti a vario titolo una quindicina di testi, ha sfilato anche un giovane – il primo della lista – entrato in aula in calzoni corti.

Il giudice, una donna, l’ha ripreso come fosse sua madre, con naturalezza, dandogli del tu: “La prossima volta che entri in tribunale mettiti i pantaloni lunghi. Anzi, dovrai farlo ogni altra volta in cui entrerai in un ufficio pubblico”. Proprio così, con le parole di una madre.

L’altro giorno un collega, durante un processo per una lesione grave, di fatto sgridò un ragazzo, imputato, per frasi pronunciate di fronte alla corte: «Ma ci sta prendendo in giro?». Sgridato. Al di fuori della decisione finale, sfavorevole per l’imputato, la lezione che questo giovanotto si è portato a casa è arrivata proprio da un giudice.

Lunedì scorso, stesso copione: spaccio di droga, quantità ridicole che tuttavia possono portarti praticamente in manette in aula, per direttissima. Il giovane siede sul banco, tra il pubblico c’è la madre, e mentre il giudice gli parla lui fa finta di nulla e “cancella” con la mano il banco: puntuale arriva il cazziatone: «Guardi che qui non siamo a scuola, se non le interessa quello che ho da dirle, le leggo la decisione e la finiamo qui».

Scene che i benpensanti liquidano col classico: “Quando ero giovane io…”: è la più ipocrita delle scuse dal momento che chi è in età da figli e si trova a pensare questa frase, deve prendere atto di un fallimento in partenza sul fronte educativo e i suoi bambini sono a serio rischio maleducazione. La domanda vera dovrebbe piuttosto essere: chi insegna l’arte della vita a questi giovani uomini? La risposta è da ricercarsi – e la prova ne sono forse i fatti di questi giorni – anche dietro la toga, se chi la indossa per un momento esce dal ruolo di arbitro e gioca in prima persona in campo educativo. Si ricorderanno, questi ragazzi, della lezione?

«Secondo me sì». A parlare è uno studente non ancora maggiorenne che proprio questa mattina assieme ad alcuni compagni di banco (quattro in tutto) girava per le aule assieme all’assistente di uno studio legale varesino poiché qui assegnato ad un progetto di alternanza scuola-lavoro. Bravo quell’avvocato che, invece di chiudere nello studio i ragazzi a fare fotocopie, li ha di fatto accompagnati a farsi un giro in tribunale, passeggiata di aula in aula che vale forse più di tante lezioni di educazione civica.

Anche questo studente era presente in uno dei procedimenti menzionati, e anche lui ha notato l’atteggiamento del giudice: «Mi aspettavo fosse più formale, come a volte si vede in televisione – ha raccontato – . Sono rimasto molto colpito. Questa esperienza mi servirà».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 30 Maggio 2018
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