«Campo dei Fiori, a che punto siamo»

Nove mesi di uscite nei boschi, prima e dopo l'incendio nell'intervento di un agronomo

L\'alba dal Campo dei Fiori

L’agronomo Valerio Montonati in un lungo excursus descrive, dopo diverse uscite, lo stato dei boschi in seguito all’incendio dell’autunno scorso.

Negli ultimi mesi ho avuto occasione di fare una serie di camminate sulle pendici del Campo dei Fiori, prima e dopo il nefasto episodio dell’incendio che ha messo a dura prova ampi tratti di bosco. Vi propongo la cronaca delle mie uscite, in solitaria od in compagnia, con i commenti corrispondenti all’evolversi degli eventi.

Sabato 30 settembre 2017
Insieme ad un amico, come me appassionato ricercatore di funghi, ne abbiamo visitato un lungo tratto percorrendo il sentiero che, lasciata la strada per il Campo dei Fiori immediatamente prima delle grandi ville, scende passando rispettivamente dalle loc. “S. Uberto” e, quindi “Sass dul Signur” per giungere, infine, alla cascina Zambella e, quindi, al parcheggio in zona Poggio.
Lo scopo dell’uscita era quello di raccogliere varie specie di funghi in vista di una mostra che avrei organizzato il giorno seguente presso il rifugio “Dumenza” in occasione della giornata del fungo e nell’ambito delle attività micologiche organizzate presso il centro micologico “Fond.ne A. Beltrami” che si trova a Dumenza (loc. Alpe Giani) sulle pendici del monte Lema.
Parcheggiamo sotto la prima delle proprietà che si incontrano dopo il bivio S.Monte – Campo dei Fiori e, dopo aver scorto un magnifico esemplare maschio di cervo che si spostava nervosamente all’interno della grande proprietà recintata alla ricerca del punto giusto per spiccare un poderoso salto e riprendere la via della libertà, ci siamo inoltrati nel bosco seguendo una pista “di gronda” in un frassineto dove abbondavano piante ribaltate di dimensioni notevoli tali da costringerci a risalire o discendere il versante per riuscire a superarle con la pista che, presto, si riduceva a sentiero, con significativi tratti compromessi dall’erosione delle acque, obbligandoci, infine, sugli erti pendii di versante dove si intravvedevano nuclei di faggio su terreni scoperti e pietrosi.
Riusciti, infine, a riguadagnate il sentiero principale, eccoci entrare in un bosco misto con una progressiva prevalenza di faggio accompagnato da castagni e querce, con esemplari isolati ovvero in piccoli nuclei.
Appare subito evidente lo stato del bosco che, senza entrare in dettagli tecnici, rivela lustri e lustri di abbandono o, meglio, di mancati interventi selvicolturali: ceppaie di faggio e castagno con un eccessivo numero di fusti, piante ribaltate o stroncate con grandi masse di legname secco a terra, masse consistenti di strame (foglie secche), specie negli avvallamenti, la vecchia pista forestale che si scorge solo a tratti colma com’è di foglie e con ampie porzioni erose o franate.
Lungo questo primo tratto, osservo, rivolgendomi al compagno di uscita, che ci sarebbero delle opportunità economiche favorevoli lavorando sul faggio, sul frassino e sulla quercia, essenze che offrono legname ricercato e con la possibilità di un esbosco semplice una volta recuperata la pista forestale con un intervento certo fattibile sia tecnicamente che in termini di costi.
Continuando la discesa ecco affermarsi il castagno con una situazione di generalizzata e diffusa assenza di attività forestali che si protraggono da lungo tempo (probabilmente qualche decennio) con castagneti cedui invecchiati e conciati dalle fitopatie e dalle infestazioni di insetti esotici (il cinipide galligeno degli ultimi anni) che hanno, nel tempo, minato matricine e ceppaie con troppi fusti così da rendere sensibile l’intero territorio e la storica pista che, oltre a prendere pendenze significative, accusa uno stato di abbandono con franamenti terrosi vari, rocce calcaree rotolate, nel tempo, dal versante, legname e masse di foglie che intasano il vecchio tracciato rendendo arduo perfino il procedere a piedi.
Qualche macchia di abeti con rari larici (coniferamenti di probabile origine artificiale) caratterizzano qualche costone guardandosi reciprocamente rispetto al valleggio che li divide.
Prima di giungere alla “Zambella” ecco un pianoro con pini silvestri alternati a castagni e betulle e con un ricco sottobosco di alte erbe ben secche e pronte per essere incendiate! Il bottino di funghi è abbastanza interessante per varietà di specie (ma senza esemplari di spicco come porcini e consimili) e sussurro al compagno di ventura: “ situazione triste e rischiosa in caso di incendi!

L’incendio : mercoledì 25 ottobre e, poi, … a seguire fino al 1 / 2 novembre
L’allarme è stato dato a metà mattina con il pronto intervento di diverse squadre dei vigili del fuoco a domare le fiamme appiccate dal piromane di turno in una condizione ottimale: grandissima presenza a terra, nei boschi in zona Poggio, di masse di foglie secche, erbe secche, ramaglie e legname anche di una certa sezione in un contesto di perdurante siccità con la compagnia di un favonio che sembra presentarsi giusto a complicare la situazione.
In serata le fiamme sembrano domate, si rinvia al giorno seguente per le operazioni di bonifica volte a scongiurare eventuali riprese del focolaio.
La giornata del 26 passa senza grossi problemi ma il 27 ecco riprendere l’incendio (…)
Abitando vicino al pianoro di Sant’Eusebio, dove c’è un’ottima vista dell’intero versante sud del Campo dei Fiori e dove è presente lo “Stato maggiore” delle operazioni di spegnimento via aria, passo e ripasso, durante il giorno nel weekend, per chiedere notizie e verificare di persona la situazione valutando le colonne di fumo, la notte da casa guardo preoccupato i fronti luminosi, a tratti spaventosi per le folate del solito vento del nord, continuo a chiedermi, ma il maniaco è ancora in giro con inneschi ed armamentario? Ma, nessuno pattuglia le piste ed i sentieri del versante per cercare il responsabile od i responsabili? Tra il primo ed il due novembre termina tutto ma il dubbio che non si sia pattugliato a sufficienza il territorio per prendere i responsabili o, quanto meno, farli desistere da quell’azione sconsideratamente bestiale e delinquenziale rimane al sottoscritto ed a quelli con cui l’ho condiviso. Il 5 novembre cadono circa 130 mm. di pioggia e davvero sembra tutto finito, almeno la fase acuta, per i danni reali occorre verificare la situazione in campo ed attendere la primavera con la ripresa vegetativa.

Avarie

Le uscite di aprile
Il 13 aprile ho appuntamento con un paio di colleghi per un’uscita informale tra agronomi, ma il weekend precedente faccio un giretto in solitaria per verificare il percorso e la situazione prima di avere sorprese.
Il percorso è già deciso, sarà quello del 30 settembre ma al contrario, cioè salendo dalla cascina Zambella fino a dove si riterrà opportuno, fatto salvo di intercettare almeno uno dei fronti dell’incendio.
Il 6 rientro presto dall’ufficio e mi infilo nel bosco immediatamente perché le giornate sono ancora cortine. Arrivato alla “Zambella” imbocco la pista che sale e immediatamente mi trovo sul campo di “Battaglia”, forse il luogo dove è stato appiccato il primo incendio. Salgo rapidamente il primo tratto inciso nel versante tra ceppaie di castagno bruciacchiate fino ad un pianoro con i pini silvestri, ceppaie ceduate (tagliate) di castagni e qualche betulla. Le alte erbe secche che ricordavo (e che temevo) non hanno poi condizionato più di tanto la pineta mentre i ricacci di castagno (dell’anno si direbbe) sembrano “Andati…”. Proseguo velocemente nel castagneto sempre più fitto con situazioni variabili, accanto a sambuchi che stanno ricacciando come se nulla fosse accaduto, vedo castagni (per lo più ceppaie con numerosi fusti, meglio detti polloni che hanno già superato il lustro d’età se non due o tre) più o meno segnati, al piede o su uno o più polloni, in un contesto di ampie macchie di sottobosco bruciato. La sensazione è che la massa di foglie presenti in cumuli più o meno grossi, abbiano fatto la differenza. Proseguo ancora sulla pista che si fa sempre più pendente, devo rallentare perché sono fuori allenamento e non ho più il fisico dei trent’anni e nemmeno dei quaranta.
Salgo ancora alcune centinaia di metri passando dal “Sass dul Signur” osservando le prime macchie di conifere con piante bruciate o con il fogliame disseccato ed altre poco o nulla compromesse, sento rumore di foglie alle spalle, mi volto pensando ad un capriolo ma è un’amica dei vecchi anni di scoutismo che sta facendo lo stesso percorso di corsa in tenuta da running, ci salutiamo, scambiamo qualche battuta e la lascio rientrare, raffreddarsi quando si sta correndo è veramente rischioso per la salute. Proseguo per altri dieci minuti, giungo in prossimità della faggeta poco prima della croce di S.Uberto, alcuni faggi non presentano particolari bruciature mentre la rinnovazione (giovani piantine nate da seme) sembra aver sofferto terribilmente e non credo che sopravviverà, ceppi di nocciolo mostrano polloni vitali ed altri certamente morti, qualche biancospino mostra, timidamente, le prime foglioline, si vedrà, meglio, in seguito. Si è fatto tardi ed ho visto quel che serviva, rientro a passo sostenuto pensando ai punto in cui sostare con i colleghi e riflettere sulla situazione.
Il 13 ci troviamo come previsto, siamo in quattro, partiamo senza indugi: al pianoro dei pini silvestri consideriamo come la scorza spessa di queste conifere le abbia protette dal fuoco e l’impalcatura alta dei rami non sia stata raggiunta dalle fiamme evitando devastanti “Effetti torcia”, il terreno pianeggiante ha probabilmente fatto passare velocemente il fuoco “di paglia” delle alte erbe secche, confermiamo la forte “selezione” sui giovani polloni di castagno.
Proseguiamo nel castagneto osservando i sambuchi al ricaccio e qualche abete isolato mezzo rinsecchito con saltuaria presenza di tassi più o meno compromessi, i castagni “dormono” ancora ma la spessa scorza esterna della corteccia, ancorché segnata dal fuoco ci fa ben sperare.
Giungiamo nei pressi di un largo valleggio dove osserviamo una condizione particolare: su un versante versa un’abetina con qualche larice che ha risentito particolarmente del fuoco, mentre dall’altra parte sembra tutto a posto. L’esposizione opposta dei due versanti e l’andamento delle fiamme, per lunghe ore condizionate ed indirizzate dal vento, hanno certamente giocato un ruolo determinante nel salvare o condannare le macchie di conifere. In ogni caso il tratto distrutto sarà esposto a condizioni negative con tempi lunghi per una nuova colonizzazione anche di specie erbacee e, poi, chi sarà il proprietario? Si preoccuperà di tagliare le piante secche in piedi (condizione “Esplosiva” in caso di eventi simili) ed, eventualmente, far eseguire nuove piantumazioni ? Si fa tardi e rientriamo commentando ad alta voce: “l’ecosistema nel complesso reggerà anche se localmente potranno esserci problemi di ripresa in tempi rapidi ma è la condizione generale del bosco che preoccupa tutti, se non si riprenderà a gestire il bosco nel suo complesso ed il reticolo della viabilità di servizio questi episodi potranno ripetersi ancora ed ancora ….

Passaggi del 26 maggio e del 17 giugno
Salgo al “Tre Croci” la prima volta per verificare la presenza di Morchelle nei frassineti in quota; per visitare l’osservatorio astronomico e la serra fredda la seconda in compagnia di Stefania, la mia figliola, che desidera vedere l’osservatorio e le sue attrezzature ed, insieme, vuole sgranchirsi le gambe e consumare qualche caloria.
La strada, subito dopo il bivio S.Monte – campo dei Fiori, attraversa un tratto di versante colpito dall’incendio con possibilità di osservare il bosco sia a monte che a valle.
In maggio parcheggio l’auto e mi fermo ad osservare la situazione: a monte i castagni sembrano aver reagito bene con ricacci diffusi e solo qualche caso di pianta che appare in difficoltà, noto una situazione particolare: una grossa betulla che non mostra bruciatore sul tronco ma non dà segni di ripresa vegetativa, vicino un castagno sembra anch’esso in difficoltà ma alla base della ceppaia, accanto a dei giovani polloni rinsecchiti ecco un riscoppio vegetativo con virgulti sviluppatisi da gemme dormienti.
Mi torna in mente la sottolineatura fatta la sera del 12 gennaio scorso all’ ”Insubria”, quando uno dei tecnici relatori ha sottolineato la presenza ed il perdurare di incendi sotterranei, è forse questo uno dei casi, con fusti poco danneggiati ma con apparati radicali compromessi.
Altre situazioni presentano fusti anneriti o decisamente bruciati con parziali riprese vegetative indicando danni ai tessuti superficiali (appena sotto la corteccia) e vitali delle piante: floema (trasporta linfa elaborata dalla zona di produzione: tessuti fotosintetici all’intera pianta) – cambio cribro-vascolare: meristema secondario con attività dipleurica: forma il floema esternamente e lo xilema internamente) – xilema (trasporta linfa grezza cioè acqua e sali minerali dalle radici agli apparati fotosintetici). Se il danno interessa l’intero cilindro o parti consistenti la pianta è spacciata salvo eventuali ricacci dal piede/ceppaia se non è stato compromesso/a, se invece è circoscritto la pianta potrà recuperare pur formando evidenti cicatrici con formazioni di cavità che, spesso, degenerano per l’azione di funghi, indebolendo la pianta e predisponendola ad improvvisi schianti per stroncamento.
Ripasso a metà giugno sulla stessa area che, tra l’altro, è una delle macchie che ben si notano guardando la montagna scendendo alla stazione di Morosolo dove prendo il treno ogni giorno ed ho, quindi, modo di monitorare l’andamento della situazione, e che evidenziano una effettiva difficoltà di ripresa immediata, cosa che, in principio, mi sentivo di escludere. Mi devo ricredere, è metà giugno e certi tratti di castagneto appaiono desolati con singoli polloni che mostrano poche foglie rari rametti vegetati e poco o nulla al piede.
Su questi tratti di versante occorre valutare bene il da farsi coinvolgendo opportunamente le proprietà e stimolando la pubblica amministrazione per favorire, quanto meno, un’azione congiunta se non proprio un’azione coercitiva.
Una delle soluzioni potrebbe prevedere il taglio delle ceppaie al piede per favorire l’eventuale ricaccio di gemme dormienti sopravvissute ma, attualmente, incapaci di svilupparsi reimpiegando parte del materiale legnoso (rami principali e ramaglie) per formare delle fascinate atte a trattenere l’azione erosiva delle acque piovane in vista dei temporali estivi o di eventuali, purtroppo non improbabili, nubifragi.
Termino con un segnale di speranza, poco distante dalle zone che ho fotografato (foto sopra riportate), in direzione Monte S.Francesco, sempre su versanti percorsi dal fuoco, ecco una gradita sorpresa: tre nuclei di Iris graminea o Giaggiolo susinario, una specie relativamente rara classificata come “Vulnerabile” ed indicata nelle “Red list” IUCN .

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 11 Luglio 2018
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